mercoledì 14 novembre 2012

Cosmopolitismo, ragionamenti vani e vaneggianti


Cosmopolitismo è un termine che deriva dal greco κόσμος (kósmos), cosmo, universo ordinato, mondo e πολίτης (polìtes), cittadino. Chi sostiene il cosmopolitismo, cioè il cosmopolita, considera se stesso "cittadino del mondo". [Wiki docet]
Essere cosmopolita fa fico, perché giri il mondo e parli altre lingue, anche se poi quando devi esprimere qualcosa di più complesso, come una sensazione o uno stato d’animo, non riuscirai mai a farlo bene come nella tua lingua.
Essere cosmopolita fa fico perché apri la tua mente a situazioni e abitudini che non avevi immaginato comprendendo che ci sono moltissimi modi per condurre una vita, e all’improvviso percepisci i tuoi antenati come fossili.
Il cosmopolita si immerge talmente “nel mondo” che abbandona il suo status originario per abbracciarne decine diversi, spesso tanto mischiati da perderne i contorni.
Dicono che New York sia una città cosmopolita, forse tutti gli Stati Uniti sono il prodotto più autenticamente cosmopolita a dire il vero, un popolo formatosi da gente con origini diverse che s’è ritrovato a inventarsi una cultura nuova, anche se il risultato assomiglia più ad un collage o ad una coperta patchwork. Fossi stata in loro avrei sfogato maggiormente la fantasia, inventandomi delle regole sociali molto più creative… non so avrei istituito il “Giorno dello scambio della prole”: una giornata in cui le famiglie si confondono e mischiano, dando modo ai bambini di ricevere stimoli irraggiungibili dalla crescita in un unico nucleo familiare; oppure avrei inventato la religione definitiva pescando il meglio da tutte e definendo una dottrina spirituale perfetta (tanto ormai le vecchie religioni erano già ampiamente collaudate, evidenziando chiaramente ognuna le sue lacune e, al contrario, ognuna le sue soluzioni più brillanti), ma antropologicamente credo che ormai si sia cristallizzata in una creatura ibrida che incomincia a pietrificarsi tanto quanto le culture più antiche.
Dubai invece è un ottimo spunto di riflessione, perché è una città che è nata all’improvviso tramite persone derivanti da paesi diversissimi con un background talmente difforme da renderne quasi impossibile la fusione.
In soli 40 anni la città è passata da 58mila abitanti a più di 2milioni! È come se Faenza diventasse Roma nel tempo di una generazione! Capite che non c’è tempo per meticciaggi culturali e il prodotto che ne deriva è molto curioso ai miei occhi.
A New York arriveranno anche persone da tutto il mondo, ma la maggior parte sarà sempre autoctona e quindi gli immigrati dovranno comunque adattarsi; invece qui gli indigeni sono ancora meno di quelli che trovarono i primi coloni che invasero l’America (il rapporto è di 2 nativi ogni 10 persone), davvero una minoranza può imporre usi e costumi oltre alle leggi?
Le effusioni sono vietate, ma i pakistani non possono rinunciare alla loro abitudine di camminare tenendosi per mano, quindi ora tenersi per mano è lecito, chi si adatta a chi?
[è come la storia del cartello “vietato fumare”, se fuma uno lo si multa, se fumano in 40 si toglie il cartello]
Quando prendo la metropolitana, quando vado in spiaggia o in un locale, mi rendo conto che una città cosmopolita in realtà è come un mondo in miniatura, i cui confini geografici e culturali rimangono fissi e definiscono le differenze in modo evidente, la tendenza ad auto-ghettizzarsi è imperante e alla fine, anche a 5000 Km di distanza è più facile che un italiano sposi un’italiana, piuttosto che un’araba o una gallese.
(l’attività sessuale è molto più cosmopolita però, và detto)
In un paese dove l’alcool dovrebbe essere bandito si festeggia l’Oktober fest o il giorno di San Patrizio con fiumi di birra, e la carne di maiale impera in supermercati e ristoranti.
Tranne rare eccezioni, alla fine i filippini stanno coi filippini e gli inglesi con altri inglesi, che sia per vedere una partita di calcio o per la grigliata del 4 luglio, anche quando un giamaicano, un omanita e un irlandese si riuniscono (e non è per dare vita ad una barzelletta) lo fanno in virtù di un non-luogo, come ad esempio la musica, in quel caso è il blues il loro “confine geografico”, ma qui si apre una discussione filosofica su quali siano davvero le demarcazioni culturali mondiali al giorno d’oggi e non basterebbe questo blog.
In ogni caso, passeggiando in una città cosmopolita puoi riconoscere immediatamente tutti questi cittadini del mondo: se è scalza è inglese, se è cotonata come Amy Winehouse è libanese, se ha le sopracciglia curate è italiano, se indossa calze e infradito è giapponese, se è abbigliata con un completo di vestito e pantaloni verde pistacchio e fuxia è pakistana, se ha labbra e tette di gomma e sopracciglia tatuate è russa… perdonate questa lista un po’ antipatica, ma è solo quello che vedo. È come se fossimo tutti usciti dai nostri paesi senza essercene accorti.
Forse alla fine il cosmopolitismo non esiste e quando ne incontro uno che si definisce così lo guardo bene e vedo solo qualcuno che ha viaggiato assorbendo superficialmente qualche abitudine diversa (che poi quello lo puoi fare anche ritornando ogni volta a casa), ma che non riesce a liberarsi davvero dalle imposizioni dettate dalla sua tribù.
Forse il vero cosmopolita è Terzani, che se lo leggi allora sì che puoi goderti un vero innesto tra l’italianità e il mondo.
Probabilmente essere cosmopolita è più una condizione da Ricercatore, da studioso, che si accinge ad evolvere la propria cultura, più che abbandonarla.
Essere cittadini del mondo è come essere pittori cubisti: guardare le cose non da un solo punto di vista, ma da tutti quelli possibili, ti rende un uomo saggio, quindi il cosmopolitismo è un’illuminazione concessa a pochi, più che la possibilità di girare per le strade e incontrare un cinese, un kazako e un peruviano.
Il cosmopolitismo non ha alcun senso se non hai un origine netta e definita, nessuno confronto può esserci se prima non sai chi sei, per me il cosmopolitismo nasce dalla cucina di casa tua.


lunedì 22 ottobre 2012

Cronaca di una giornata tamarra a Dubai



Nella città dove lo stereo dei supersuv è più potente e fedele dell’impianto del locale dove di solito ascolto i concerti a Milano, andare ad un concerto con 50 Cent, Nelly, Craig David, LMFAO e altri tamarri come Dj Antoine o Ciara è un’esperienza da fare.
Ci prepariamo, prendiamo i nostri biglietti su cui c’è scritto STANDARD gigantesco e in piccolo alcune regole tra cui di portare i passaporti, andare ad un concerto a Dubai equivale ad espatriare.
Il posto è un ippodromo gigante il cui solo parcheggio, se visto dall’alto, ha la forma di un falco con tanto di occhi (da falco) e ali spiegate con piume, io e il Castri abbiamo parcheggiato sulla coda, giusto per dare fastidio.
Il tutto comincia alle 14 del pomeriggio, noi abbiamo fatto i fichi e siamo arrivati alle 17…eravamo tra i primi.
All’ingresso ci chiedono di consegnare i polsi, sul destro ci mettono un braccialetto rosso e sul sinistro uno bianco con su scritto +21, non faccio domande e neppure mi do risposte.
Scoprirò poi che questo è solo il primo di una serie di filtri che sezionano tutta l’area del pubblico in diverse caste di cui noi siamo il penultimo gradino: la sezione STANDARD, sotto di noi solo i ragazzini, gli standard più giovani di 21 anni, quelli senza il braccialetto bianco.
Sono stata a tanti concerti, so che ci sono diverse fasce di prezzo, platea e palchi o parterre e spalti, ma a Dubai esistono infinite sfumature nell’essere VIP, ci sono i VVIP (very very?) e sopra a loro livelli innominabili di persone che spendono tanti soldini per affittare la camera dell’albergo che si affaccia sull’area del concerto e godersi lo spettacolo dal balcone (il balcone ha delle poltroncine sistemate su 3 gradinate)
Il mio biglietto standard è costato 70 euro e mi dava l’accesso ad un’area distante 50 m dal palco, rigorosamente in piedi e a destra, perché a sinistra ci sono i ragazzini che hanno il loro bar dedicato con bibite gassate e succhi di frutta. (nel reparto anziani il bar serve alcolici, birra e long drinks alla modica cifra di 8 euro l’uno)
Davanti a noi c’è un’area divisa in 3, a sinistra gli under 21, a destra gli anziani in piedi (con bar nel quale spendere le consumazioni comprese nel biglietto il cui costo era di 140 euro) e al centro i ricchi anziani seduti, ma non immaginatevi le sedie in plastica impilabili, no amici… l’area era un salotto en plein air, con poltrone in pelle grigio antracite e tavoli in legno scuro e cristallo affumicato, loro avevano un bar pronto a distribuire bevande a volontà, costo 250 euri più il costo dei tavoli: da 5 persone 100 euro, da 10 200 euro e ogni aggiunta di persona costava 140 euro.
Il prezzo dell’albergo 5 stelle i cui balconi si affacciavano su noi miseri umani non saprei proprio dirvelo.
Io e il Castri passeggiamo nel nostro recinto, sul fondo ci sono stand gastronomici monomarca usciti da una puntata dei Simpson: il pollo fritto del Kentucky, pizza Hut (che se la mangi non vai più in bagno per 3 giorni) e la famosa marca di ciambelle adorate da Homer, io non mangio niente di tutto questo per la paura irrazionale di trasformarmi in un americano medio.
Ci guardiamo intorno commentando la variegata fauna umana e, dopo un’attenta analisi tecnica decidiamo di appostarci nel punto meglio servito acusticamente, appoggiati alla transenna.
Sono le 17e30, le casse pompano un dj che io non conosco, l’area teen è già piena e super carica, ballano senza sosta freschi e tutti agghindati con stile; l’area anziani è semi deserta… saggi, sanno che se iniziano ora non arriveranno vivi alle 3.
Sono indecisa se questa cosa della divisione per fasce di età sia geniale o meno, cioè io posso andare e venire in libertà nello spazio dei ggiovani, ma loro no… m’è venuto subito in mente quante sere io e l’Aribus ci siamo lamentate entrando in locali pieni di pivelli 20enni, quante volte ci siamo chieste dov’erano gli over 30 sentendoci delle sopravvissute, quindi la divisione in ghetti non mi è sembrata poi così sbagliata, sono sicura che tutti mischiati ci saremmo divertiti meno, noi e loro.
Loro che dopo 5 ore erano ancora pimpanti, femmine dondolavano sulle spalle di maschi (tra gli over 21 nessuno s’è caricato mai nessuna, non abbiamo più il fisico), urla a non finire, braccia alzate e occhiali da sole anche di notte.
Solo col favore delle tenebre i due gabbioni degli over si sono riempiti e ho notato che il Biancone ad un concerto hip hop ci va in borghese, peccato… secondo me tunica e turbante spaccano più delle catene d’oro di 50 Cent.
Mentre i dj si spellavano le mani sulle loro consolle ho visto questa cosa: ho visto la consegna a domicilio della cena arrivare fino al tavolo sotto al palco… è come se quando sei al forum d’Assago e c’hai fame… mica ti vorrai alzare e fare la fila per un panino schifoso! No chiami l’egiziano della pizzeria sotto casa e ordini, poi aspetti seduto al tuo posto l’omino con la borsa termica.
Qui i ricchi hanno qualcosa nel sangue che impedisce loro anche solo di farsi due passi o prendersi una roba dalla stanza accanto, io spero per loro che questo benessere non cali mai perché il giorno in cui dovranno ricominciare a farsi tutto da soli sarà il più amaro e difficile della loro vita e magari soccomberanno solo all’idea di un bucato o di cucinarsi qualcosa.
Comunque la musica continuava, i musicisti si alternavano a dj, si ballava e ballava e si ricevevano gadget disparati, io desideravo la borsa in yuta di un pub irlandese (con dentro chissà che cosa!), ma invece mi sono toccati 6 diversi pacchetti di sigarette, uno al fantastico gusto mela verde.
Verso le 23, dopo 6 ore, ho concesso alle mie gambe di piegarsi e mi sono seduta per terra, i dj nei cambio palco ormai raccoglievano solo sbuffi e persino i teen erano stanchi, e da dietro la grata della mia transenna antisfondamento ho osservato gli effetti dell’improvvisa disponibilità di alcool in un paese in cui non è cultura.
A parte gli immancabili inglesi, che ad una certa ora compaiono in condizioni pessime (per lui camicia asimmetrica macchiata, mutande in evidenza su pantalone calato tristemente, per lei scarpe col tacco rette in mano, piede nudo a calpestare la qualsiasi e per entrambi gravi difficoltà di reggersi in piedi con sbiascica molesta) ho visto scene che ho vissuto solo durante i capodanni dell’adolescenza. Questi ragazzi devono imparare a bere, e poi sono troppo magri, non reggono, però sono pacifici, nessuna rissa, nessuna donna importunata.
Comunque ho tenuto duro e sono tra i pochi che hanno resistito fino alla fine, i recinti erano quasi vuoti quando ha chiuso la serata Fifty, lui non se l’è presa a male, sorrideva e cantava, e quando alle prime file VIP gli hanno tirato (tra mille cose tipo: cappellini, foulard fendi e magliette) un bracciale rigido dorato, lui l’ha preso, perché se ti tirano un oggetto del genere a Dubai, nel dubbio anche Fifty se lo piglia.
Io e il Castri abbiamo dato gli ultimo colpi di coda e quando siamo usciti abbiamo constatato che se costruisci una struttura immensa nel deserto non hai problemi a organizzarne la viabilità in modo tale che si sia fuori in pochi secondi. Una volta a casa, dopo la doccia (qui durante il pomeriggio si raggiungono ancora i 37 gradi), ho avuto giusto le forze di rannicchiarmi in posizione fetale sul letto, mi faceva male ogni punto dal mio corpo dal mento in giù, ma non mi sono lamentata in modo tale che il Castri pensasse che quel +21 non significasse necessariamente 21+16, ma 21+chissenefrega.

Il teaser introduttivo che chiarisce alcuni punti fondamentali:
Dress Code: Fashionable
Entertainment: Choreographed Dance shows on Catwalk/Dance Cages
Age Limit: No Age Limit 
(che significa: vecchi ammessi)

le cubiste

gabbie separate non sono poi una così brutta idea



giovedì 4 ottobre 2012

Dell'omanità perduta


Siccome sono una mezza clandestina mi tocca rinnovare il mio visto turistico farlocco ogni mese.
Il confine più vicino è quello con l’Oman, quando arriviamo la polizia ci fa compilare il foglietto d’ingresso e tutte le volte esito un po’, non perché sia impostato per chi scrive da destra a sinistra, ma perché la casella Occupation mi mette sempre di fronte alla tentazione di sbrigliare la creatività, alla fine scrivo student che mi pare un giusto compromesso tra fantasia e realtà. L’ultima volta però il gorilla-Castri mi ha tolto dall’imbarazzo scrivendo per me social assistant, devo ammettere di aver gradito la sua iniziativa.
L’incombenza di dover andare in Oman è piacevole perché, come già scrissi, è un posto meraviglioso. Non è farcito di monumenti come l’Italia, se non quelli ad opera di Madre Natura come certe montagne colossali e geometriche o il suo mare miracoloso che ospita ogni tipo di pesce sfuggito agli acquari di dentisti occidentali, ma anche balene e serpenti di mare (velenosi).
A parte il mare, non si può neppure affermare che sia una terra rigogliosa di vita, mi pare più adatto come set per un ennesimo capitolo di Star Wars, anche se so di molte zone montane fertilissime e coltivate.
Eppure l’Oman ha un qualcosa che mi fa sospirare di sollievo ogni volta che son lì e ora so che certezza che è la stupefacente ospitalità dei suoi abitanti a renderlo così speciale.
Devo dire che ho pensato molto alle parole da usare e “ospitalità” ha un significato limitato per quel che dovrebbe raccontare. Meglio se vi scrivo episodi vissuti nello scorso week end.

In entrata.
Appena varcato la frontiera, con ancora i passaporti nelle mani dei poliziotti, l’omanità ci ha abbracciati con indulgenza e affetto, avevamo chiesto un’informazione sulla regolamentazione dei visti in una zona di confine in cui la cosa era poco chiara, ma che volevamo visitare. Il poliziotto ha risposto che la strada era pericolosa, poi ci ha fatto cenno di non parlare che c’era il suo capo, un biancone sui 60 che scherzava con degli irlandesi leopardati da milioni di lentiggini, noi abbiamo abbozzato decidendo di non insistere, dopotutto sapevamo che quella zona era accessibili sono ai residenti per chissà quale motivo.
Con nostra sorpresa il poliziotto è uscito dalla guardiola pronto ad offrirci (l’illegale) escamotage che ci consentisse di visitare quell'area senza problemi, l’italiano che è in voi ha già pensato a quanto ci possa essere costata un’operazione del genere, confessate!
Niente!
Anzi ci ha sorriso e ringraziato lui, salutandoci con una pacca sull’erculea spalla del Castri che qui raccoglie più simpatie di un cucciolo di gatto su youtube.
(ah, non abbiamo accettato la sua offerta, non per virtù, ma per evitare problemi con l’altro confine moooooolto meno indulgente)

All’albergo.
Ci siamo fermati in un albergo per domandare se c’era posto, pareva di vivere in un film western all’ora di fuoco: il sole a picco, un caldo infernale, silenzio, poche case all’apparenza disabitate, all’improvviso un rumore dalla strada, ci giriamo e vediamo 3 capre che zampettano padrone del mondo. L’albergo è aperto, dopo aver superato la barriera anti-dromedario (noi abbiamo la tenda anti-mosche, loro una sorta di grata che dovrebbe scongiurare l’ingresso di cammelli vari) gironzoliamo tra la reception arredata da una wanna marchi in depressione, il gorgogliare della piscina in giardino e i piccoli appartamenti destinai agli ospiti (dominante su tutto una nuance di marrone da brivido), tutto aperto e accessibile, ma nessuno che lo abitasse.
Mentre il Castri proponeva di mandare una mail dal loro stesso computer, noi siamo tornati in strada dove abbiamo scoperto con sollievo di non essere rimasti i soli abitanti del pianeta, dal nulla è comparso un uomo che si è subito impegnato nella nostra causa. 
L’uomo, che indossava una maglietta col ritratto del suo sultano, ha chiamato qualcuno che poi è sbucato da una casa poco distante correndo nella nostra direzione: stanza presa.
[Qualcuno dirà, ma che razza di ospitalità è questa? Non c’era proprio nessuno! A parte che la domanda mi fa pensare alla faccenda del dito e della luna, ma comunque rispondo: quando mai avete trovato un posto del genere aperto e abbandonato tutto intriso di fiducia e di ingenuo (nel senso buono) ottimismo? Dalle nostre parti devono inchiodare i cestini della spazzatura e piazzare telecamere in ogni dove…]

Alla spiaggia.
La spiaggia in realtà è la soglia dell’ingresso ad un altro mondo: il mare. L’aneddoto inizia con noi che spiamo i fondali muniti di maschere e d’improvviso incappiamo in una nassa dove c’è un grande pesce pipistrello (a dispetto del nome è molto bello ed elegante, guarda) intrappolato al suo interno, subito fuori un pesce uguale, solo un po’ più piccolo, che sembra aspettarlo, i due pesci nuotano insieme divisi solo dalla rete rigida della trappola.
Il mio cuore romantico e animalista esplode di commozione e dolore, mi rivedo nel pesce più piccolo che cerca di rincuorare il suo amato pesce-Castri: “vedrai non succederà nulla e comunque io resterò qui con te, risolveremo questa cosa!”, rivedo anche Nemo e i suoi amici, ma non so bene quali quindi ritorno all’immedesimazione di prima.
Subito chiamo i miei compagni di viaggio: allaaaaarme, c’è una missione da compiere!
Ognuno abbandona i propri pensieri e si dirige verso di me, si studia brevemente la cosa e, senza un piano, i maschi si tuffano tentando di prendere la nassa. Ahimé, questa è troppo pensate (e chi l’avrebbe detto) non riescono a farla riaffiorare in modo che si cerchi di far uscire il prigioniero, in varie immersioni la nassa non si stacca più di un metro dal fondo.
Ora, devo specificare che in quel punto la corrente era abbastanza forte e che ad ogni tentativo, nel tornare placida e strafottente sul fondo, la trappola infernale si allontanava sempre di più.
Ormai stremati i maschi si arrendono, guardo un’ultima volta il pesce imprigionato, la sua compagna si è allontanata prudentemente per lasciarci lavorare, chissà cosa penserà… sono triste, siamo tutti tristi.
Torniamo a riva senza parlare, togliendoci la maschera notiamo una barchetta bianca attraccata, il suo capitano è poco lontano impegnato nella preghiera pomeridiana, quando torna sprizza omanità da tutti i pori e subito si mette a chiacchierare con noi… 3, 2, 1 “ci porti con la barca lì, che sotto c’è un pesce bello, non di quelli che si mangiano, bello a forma di luna, intrappolato in una nassa e sua moglie è fuori che lo aspetta, abbiamo provato, ma non ci riusciamo da soli, se ci dai anche una corda…” Poverino non aveva capito una cippa di quel che gli avevamo detto in coro (considerate poi il mio inglese tipo Salvatore de Il nome della Rosa), ci sorride e ci chiede se vogliamo fare un giro in barca, ci indica una spiaggia dietro le montagne a destra, molto bella, ci si arriva solo via mare.
Riparte il coro: “no, no, grazie per l’invito, noi vogliamo solo arrivare lì, c’è questa trappola, pesce dentro, no buono da mangiare, pesce bello, noi vogliamo liberarlo”
Lui forse capisce e sorride imbarazzato spiegando che le nasse sono di suoi amici pescatori, che non sa se è il caso perché quando prendono pesci che non si mangiano li liberano loro, però c’è sempre quella spiaggia se vogliamo!
Noi non cediamo: “non si mangia quel pesce, rimettiamo la nassa al suo posto”
La sua omanità ha resistito anche troppo, cede e dice di montare tutti in barca sorridendoci felice, si parte.
Ebbene, arriviamo al punto X, caliamo i maschi mascherati armati di una corda, la nassa è davvero profonda ora, Guido l’aggancia e risalendo pagherà il tributo più caro: qualche goccia di sangue dal naso, sembra poca roba, ma ditemi voi chi ha mai versato sangue per salvare un pesce? Guido!
Massimo rispetto.
Comunque, ho in mano la corda e tiro issando questa semisfera di rete, era talmente vecchia che si rompe nell’ascesa, quello squarcio benedetto permette al pesce pipistrello di uscire e, soprattutto garantirà una scappatoia ad altri che ne rimarranno intrappolati.
Libertè!
Si festeggia e Mohammed ci porta a quella spiaggia, ci si tuffa, si nuota, lui ci aspetta paziente, io mi sento un po’ in colpa e lascio maschera e boccaglio per fargli compagnia, così mi porta in cima ad una duna altissima di sabbia fresca e morbida, mi dice che ci porta i suoi figli lì, mi racconta che in questo periodo arrivano le volpi, mi chiede se a Milano c’è il mare e poi mi dice che capisce meglio il mio italiano del mio inglese e ride di gusto.
Quest’uomo che abbiamo travolto ci porta in altre spiagge, lascia che il Castri guidi la sua barca e alla fine ci riporta indietro.
Ci godiamo il tramonto insieme, timidamente il Castri prova ad offrirsi di pagargli la benzina, Mohammed diventa serissimo, ASSOLUTAMENTE NO, guarda anche da un’altra parte, discorso chiuso.
Lui lavora al ministero degli interni, controlla i passaporti, era uscito per farsi un giretto con la sua barca, un piccolo piacere che si concede, mi sento una caccola e penso che gli voglio bene a Mohammed e che la prossima volta la barca la voglio guidare io!



Ah, nell’andarcene veniamo avvicinati da Alì e da Ibrahim, li avevamo visti anche l’altra volta, sono pescatori e non parlano inglese, quindi non sappiamo cosa pescano, non hanno reti ne fiocine, ma solo un piccolo tridente... boh!
Ci fanno cenno di fermarci, corrono verso di noi con un cartoccio di carta stagnola in mano, è pieno del pesce appena pescato, pulito e cucinato, tutto per noi.
In Oman fare i complimenti è insensato e incomprensibile, accettiamo il pesce e ce lo mangiamo di gusto (ok era piccantissimo), ma penso di non aver mai mangiato pesce più fresco.

Potrei andare avanti ancora molto con storie simili, ma è già venuto troppo lungo questo post, e poi voi non leggete perché c’avete fretta e la vita è breve, quindi basta aneddoti.

Tornata a Dubai ho letto questo:

(mamma clicca per ingrandire, così riesci a leggere)

e mi ha rattristato…
Quand’è che siamo diventati così?
Quand’è che abbiamo perso la nostra ospitalità?
Lo so che eravamo accoglienti e generosi, lo so dai racconti dei nonni e dei miei genitori, lo so da come sono stata educata, cos’è successo dopo?

Nessuno venga a farmi discorsi sui soldi e simili, non si sta parlando di questo, nel dopoguerra eravamo davvero poveri, eppure avevamo tanta generosità da distribuirla a tutti!
Io sto parlando di sorrisi, curiosità e confronto, di condivisione e basta, capite da soli che non ho voglia di fare omelie.

Vi prego ritroviamoci, ritroviamo noi stessi, dobbiamo ricordare chi siamo, la nostra ospitalità è talmente radicata, antica e sacra che Dante mise i traditori degli ospiti all’inferno, nel 9° cerchio, più vicino a Lucifero di ladri e assassini.
Li ha descritti riversati e imprigionati dalle loro lacrime cristallizzate in una lastra di vetro trasparente che li separava dal resto del mondo.


martedì 11 settembre 2012

Mal d'Italia



Tornando in Italia ero emozionata, volevo scoprire quale vecchia abitudine avrei riabbracciato con più piacere. (Voi direte “e che mi frega?”, a parte che a me sta cosa che frega sia sinonimo di importare mi suona strana, io vi rispondo: vi frega (?!) perché così magari ripensate alle cose belle delle quali siete circondati, ma che magari non tenete in gran considerazione, visto i tempi amari che stiamo vivendo… con particolare riferimento al rientro vacanziero. Quindi prendete questo post come un mio personale Inno alla gioia)
Avevo una vaga idea, ma ecco la lista in preciso ordine casuale:
-          focaccia di Recco, anche tarocca va bene;
-          limonare duro in pubblico;
-          la mia cara e variopinta lingua madre, che storpio e offendo, ma a lei in fondo piace;
-          le campane di Cislake che suonano per 20 minuti in orari misteriosi tipo dalle 16e23 alle 16e47;
-          i libri, i libri e tanti libri da leggere;
-          real time (che in realtà non si guarda, è un canale da compagnia, pretende giusto un minuto di attenzione ogni 30, ma dà dipendenza);
-          il corpicino di mio nipote da stringere fino a che non ti scatta un impulso feroce e sai che devi mollarlo altrimenti lo mordi;
-          lo sguardo buono del mio cane puntato nei miei occhi e la sua fiatella puntata sul mio naso;
-          l’arietta fresca delle sere d’estate;
-          bere birra per strada o sulla spiaggia, nonché la libertà di poter ordinare del vino andando a mangiare fuori (che poi non ci vado e non lo ordino, son mica così ricca);
-          parlare vis a vis e non scherm a scherm (sempre e comunque GRAZIE DI ESISTERE SKYPE);
-          le nonne con i gambaletti ad agosto; i nonni-arredo urbano seduti fuori dalla porta di casa, sulle panchine dei parchi, ai tavolini di bar puzzoni;


-          colline con prati e alberi che crescono spontaneamente, non tutti hanno idea di quanto sia inestimabile e indispensabile al fragile equilibrio di una mente umana questa cosa qui;
-          le serate surreali con Harihana, spero che tutti abbiano un/a amico/a del cuore, chiunque esso sia, magari è gotico e imprevedibile come la mia, o magari e sornione e peloso come un gatto;
[interrompo brevemente per avvisare che ho appena sbattuto il gomito in un punto di hokuto (merdporcaccstrunzcassiusclei) e da qui in poi scriverò con una mano sola, in quanto l’intero braccio sinistro è paralizzato da milioni di spine, quindi scusate i refusi, di solito non correggo… è troppo noioso e si perde in freschezza, purtroppo anche in grammatica e sintassi, ma ognuno è quel che l’è, e io sono pigra]
-          il silenzio... non potete immaginare che tortura cinese sia un continuo rumore tanto alto da penetrare negli infissi dei doppi vetri antiproiettile che ho in casa: macchine e macchine in un turbinare continuo tra le superstrade che percorrono la città. 
     Quando passa una ferrari, che difficilmente fa i 40 Km/h, è come quando tuona il cielo.  Il weekend aprono le gabbie e il ferrarista porta a spasso il suo ego e due manifesti: l’acclarata dichiarazione di avercelo piccolo e la mortificante mancanza di fantasia (porc*# se avessi i suoi soldi io…!), così ad ogni tuono io impreco telepaticamente mentre immagino Montezemolo & Co. che se la ridono fregandosi le mani.
Alle macchine aggiungete i cantieri edili, ma mica siamo qui a costruire le case delle bambole in 140 uscite settimanali in edicola !!?! (se fossi Crozza direi qualcosa di più brillante, ma sono sempre quella di prima che sta scrivendo con una mano sola…perdonatemi), intorno a me ho 3 cantieri: 1- palazzo di 40 o 50 piani con una megagiga gru fissata a terra con triliardi di tonnellate di contrappeso e un’altra più piccola, probabilmente la figlia, incastonata a metà della struttura come il vischio agli alberi; 2- palazzo di 29 piani (questi li ho appena contati) quasi terminato, con solo una megagru, ma con contorno di svariati montacarichi e carrucole che issano il materiale di rivestimento; 3- moschea (fico! Non vedo l’ora che sia finita, il muezzin che salmodia 5 volte al giorno almeno contribuirà con qualcosa di magico e ipnotico. Non sono ironica, mi piace molto ascoltarlo, anche quando ce ne sono 2 o 3 che si sovrappongono, o forse mi mancano le droghe) piccola gru, ma squadrone di operai che tagliano, fresano e lucidano lastre di marmo.
Infine i condizionatori, milioni, sempre accesi, ventole giganti, succhiatori d’aria, compressori, gruppi elettrogeni, a dire il vero non so com’è fatto un condizionatore d’aria centralizzato per un condominio di millemila appartamenti, ma dev’essere qualcosa di mostruoso e diabolico.
Comunque, dicevo: il silenzio;
-          le robe antiche ovunque, perché se vai al museo della preistoria del Castello Sforzesco trovi i resti del guerriero di Somma Lombarda. Perché perfino Somma Lombarda ha il suo posto nella preistoria in Italia.

Poi, lo so, dovrei chiudere con una cosa superemozionante per dare l'effetto giusto, e ci stavo pensando  felice come una tortora... quando all’improvviso m’imbatto in questa roba qui:


cosa fai dopo che hai visto questa roba qui?  Come si reagisce? Si può davvero ignorare questa roba qui? Guardate che ce n’erano altre! Una con su scritto “eri meglio su facebook”…
Cioè noi, quelli del guerriero di Somma Lombarda, siamo gli stessi di questa roba qui?
La cosa buona è che sono ripartita senza vederla addosso a nessuno, c’è speranza.

giovedì 23 agosto 2012

Dubai, la capanna sudatoria più grande del mondo


Sudare a Dubai è un’esperienza di umiltà collettiva che abbatte le barriere del pudore (eredità della buona educazione occidentale dove ogni prodotto del corpo è qualcosa di cui vergognarsi).
Quando esci di casa vivi un momento di puro stupore, in un secondo ti si appannano gli occhiali e ogni centimetro di pelle, solo dopo inizi a sudare.
Se indossi una gonna le tue cosce scivolano l’una sull’altra in modo quasi piacevole e non badi alle goccioline che corrono copiose sulla nuca, tutti quelli che ti circondano stanno peggio di te perché sono vestiti da strati e strati di stoffa e sembrano reduci da un acquazzone.
Si suda come in sauna, si suda come cavalli da corsa, si suda sempre: notte e giorno alla stessa maniera; se sei in macchina e abbassi il finestrino l’aria non ti asciuga neppure se procedi velocemente, neppure dopo mezz’ora, è quasi un miracolo.
E quindi vivi questo stato di umidità prepotente con rassegnazione, non ti preoccupi di chiazze e aloni o del fatto che ti appiccichi ad ogni cosa che tocchi, perché tra luglio e agosto a Dubai sudano anche gli oggetti. 
Le vetrine dei negozi grondano di condensa; i bicchieri vuoti che ti servono insieme alla bottiglia d’acqua, sono appannati; la macchina è coperta di goccioline; i panni non si stendono dopo il tramonto come in un moderno racconto dell’orrore.
Altrettanto stupefacente è lo schiaffo fisico ed emotivo che ricevi quando entri in un qualsiasi “dentro”, che sia un negozio, un taxi o il traghetto per umani che naviga sul Creek… senti come una morsa invisibile che ti stringe il corpo fin nelle viscere e ti spaventi ogni volta come se il freddo ti avesse fatto “BU!”; ora so di essere solidale con i surgelati, anche se i più li considerano oggetti, per me hanno un’anima e so quanto soffrono lo sbalzo di temperatura.
Solo i bianconi non sudano, dannazione, ma come fanno?! 
Qualcuno dirà che sono predisposti a questo genere di clima, ma pure gli Altri (i poveracci) lo sono, eppure sudano peggio di me che non sono stata costruita per vivere a 50°. 
La verità è che escono pochissimo, vivono nel loro mondo refrigerato passando da un “dentro” all’altro: casa, moschea, negozi e macchina.
A volte fuori dai centri commerciali vedi macchine accese con dentro donne che aspettano gli acquisti di qualche biancone; se invece è un negozio singolo lungo la strada, come quello che vende CD e DVD, non scende proprio nessuno: accostano, suonano il calxon e aspettano qualcuno per fare degli ordini, poi il negoziante corre dentro ed esce con una pila di cd, loro li provano in macchina e infine, quando hanno deciso, suonano nuovamente il claxson, l’omino corre fuori incassa e si riprende quelli che non piacciono.


Adesso in Italia si bolle con i vari Caligola, Caronte e Lucifero, ma qui si vive il detto “non c’è limite al peggio”, e il mare e le piscine si scaldano tanto che non senti la differenza quando ti immergi, nessun sollievo! Se ti sei appena depilata per capire se sei dentro al mare, e quanto, devi guardare.
È un po’ la medesima sensazione di smarrimento di quando senti “ora, davanti a una bella fetta di lamponi, ne prendo due fette!”, sei tu che ti sei mangiata anche due belle fette di polident o sono io che devo bagnarmi la testa perché ho allucinazione uditive?
Allucinazioni o no il caldo sembra far impazzire solo noi italiani, qui non c’è la moda del delitto dell’estate, non è costume innervosirsi per questo motivo, non ci si vergogna di aloni ascellari (in parure con quelli lungo la schiena o attorno al collo), nessuno dice altolà al sudore perché è chiara l’assurdità della pretesa.
Si suda allegramente in coro e si bevono 2-3 litri di acqua al dì cercando di spegnere una sete implacabile che irrompe persino nei sogni, sostituendosi al più classico tormentone del bisogno di fare pipì.
Una domanda: ma se ti sudi tutto quello che hai bevuto prima che arrivi alla vescica, i reni poi si offendono?

 
suda l'aria

 
sudano i vetri


sudano le fotografie

pensilina della fermata dell'autobus climatizzata

lui è meglio se non viene a Dubai

domenica 27 maggio 2012

Accidia? Sì grazie. (Da noi è capitale, qui è opzionale)


Dubai non è un paese per vecchi, so di usare una citazione ben logora, ma credo di essere tra coloro che ne hanno più diritto.
Non esistono persone anziane a Dubai, se ci sono non girano per le strade, non li incontri mai, a parte qualche coppia di turisti, i capelli bianchi qui non si vedono.
La media dell’età della popolazione nel 2006 era di 27 anni, non ho trovato dati aggiornati, ma non credo che oggi comunque non superi i 35.
Non sono mai incappata in un 70enne, cosa ne facciano è un mistero: li nascondono? Li eliminano come in una moderna Sparta? Hanno trovato l’elisir di lunga vita e non invecchiano?
Prima o poi lo scoprirò, per il momento mi godo questa città dove, per la prima volta per me (un’italiana della mia generazione) i giovani regnano su tutto: nel mondo del lavoro, nel campo delle arti, nella gerarchia sociale.
A ben osservare le cose funzionano benone, certamente meglio che in Italia, dove il motore che muove le decisioni dei nostri politici e dei nostri dirigenti non siamo certo noi, eterni figli costretti a passare dall’infanzia direttamente alla vecchiaia senza aver avuto l’opportunità di partecipare davvero alla costruzione e al meccanismo del nostro paese.
Terminata la mia introduzione ne evidenzio immediatamente il suo carattere dadaista, visto che non è minimamente in argomento con quello di cui volevo scrivervi: essere pigri a Dubai.
Dubai è il paradiso dei pigri. Chi non lo è subisce una continua e silenziosa seduzione al dolce far di meno, ed è dura resistere.
Certo detto da una principessina come me, che ha il lusso di non dover lavorare, suona un po’ artefatto, ma davvero qui trovi sempre un’alternativa al fare: fare con minor sforzo.
Sarà che il problema energetico qui non sussiste e che la questione ecologista trova terreno arido o viene semplicemente ignorata, ma io in casa ho un motorino anche per spostare le tende e quando vado a fare la spesa c’è una persona che imbusta quello che ho comprato (seguendo una logica randomica… a volte mi trovo la spesa divisa secondo il materiale dei vari contenitori; altre volte secondo la consistenza di ciò che ho comprato duro con duro, morbido con morbido; o ancora secondo la qualità o la temperatura, ma sempre, quando torno a casa, mi trovo un sacchetto riempito solo con un oggetto… quello che io chiamo il freak, l’inclassificabile, la materializzazione di “l’eccezione che conferma la regola”).
Hai appena fatto la manicure? Allora chiedi all’imbustatore di spingere il carrello fino alla tua macchina (posto 1573, area G, settore verde), sarà lieto di sistemare i tuoi sacchetti nel baule per la piccola mancia che vorrai dargli.
Hai comprato un vestito e ora vorresti abbinargli delle scarpe ma il negozio è dall’altra parte del centro commerciale? Ci sono delle silenziosissime macchinine elettriche che fanno al caso tuo, sono le stesse che normalmente vedi sui campi da golf, alza la mano per fermarne una, appoggia il tuo sedere di piombo, piega le tue stanche membra di marmo e goditi il viaggio sfrecciando tra le vetrine.
Avete presente il “valet parking”? È quel servizio che di solito vediamo nei film quando un tizio va al ristorante strafico con la tizia: ferma la macchina davanti al locale, scendono belli come il sole e mollano le chiavi della macchina ad uno che noti solo perché ha una giacca blu cobalto o rosso carminio… ecco qui lo stesso servizio lo offre pure la mia estetista.
Vi ho già parlato dei sevizio a domicilio offerti dalla città: massaggi e noleggio DVD (qualcuno di voi ha chiamato Mary?), devo solo specificare che qui ogni esercizio commerciale ha un servizio domicilio, anche la farmacia o il negozio di abiti per cani, oltretutto molti sono disponibili 24 ore su 24.
C’è un ascensore o un tapis roulant ovunque, se manca è perché lo stanno costruendo e trovi un cartello con le scuse.
Puoi essere talmente pigro che quando sei in bagno e hai finito, non devi fare il sovrumano sforzo di passare sul bidet affianco, è il bidet a venire da te: c’è un doccino a questo scopo, e in alcuni posti è persino integrato con il water, premi il tasto e...obiettivo centrato! (...ma è possibile che noi italiani non siamo riusciti a nominare degnamente il vaso sanitario?! Davvero dobbiamo usare una parola inglese storpiata che tra l’altro significa tutt’altro?!!)
Il concetto di “fai da te” è ignorato, al Carrefour se vuoi ti sbucciano e affettano la frutta, al mercato ortofrutticolo ti puoi scordare di toccare la tua spesa: indichi quale mango vuoi e paghi mentre la tua merce passa direttamente nelle mani di un uomo che ti sta seguendo con la carriola. Quest’uomo non l’hai chiamato tu, è lui che ti sceglie al parcheggio e ti segue silenzioso con la sua carriola lucida, non puoi mandarlo via, anche se ci provi lui ti guarderà come se non avesse capito e ti seguirà imperterrito.
A gente come noi risulta quasi insostenibile avere un servizio di questo tipo, ci si stringe il cuore, siamo abituati a fare da soli, essere serviti è un lusso che non ci interessa fino a questo punto.
Alla fine, dopo che vi siete girati tutto il reparto frutta, verdura e pure quello del pesce, dopo che ti ha aspettato mentre contrattavi, chiacchieravi o rispondevi ad una telefonata, glieli dai volentieri i 4 euro che ti chiede, anche se ti ritrovi a ripensare malinconicamente al mercato del sabato di casa tua, dove eri libera da sensi di colpa e da pensieri su quanto storto proceda il mondo, al limite un po’ incazzata per il prezzo delle zucchine.


mercoledì 9 maggio 2012

If you need DVD Please give me a call.


Noi italiani siamo abituati a regole di una rigidità talmente elastica da confondere le idee, quindi ci siamo adattati ad una sorta di codice morale individuale che ognuno applica alla vita modificandolo all’occorrenza. Questo stato di cose ci infuria nel vederlo accadere agli altri, ma non appena riguarda noi, la nostra indulgenza si fa strada con la facilità di un coltello caldo che affonda nel burro.
Ebbene come diceva mia nonna: “tutto il mondo è paese” (che è un po’ la versione popolare della regola alchemica di Ermete: “…come in alto, così in basso…”), e anche Dubai non fa eccezione.
Vale tutto e vale niente a Dubai, le regole e le leggi sono severe e chiare, alcune bizzarre ai nostri occhi (vietato essere omosessuale), altre giuste come quella che impone il tasso zero di alcool nel sangue se guidi, del resto un taxi ti costa mediamente 4 euro a corsa.
L’alcool è forse l’unica cosa tassata, una birra media la paghi circa 7 euro e nel supermercato non esiste il reparto alcolici, puoi comprare birra, vino e grappa (in quantità limitata) solo al duty free appena sceso dall’aereo. (Ricordati di conservare lo scontrino, perché quello sarà il tuo giustificativo nel viaggio dall’aeroporto a casa, dopo di che scordati di portarti un paio di birrette in spiaggia).
I residenti hanno una tessera che consente loro di acquistare alcolici (un tot. al mese) in speciali negozi dalle vetrine oscurate, che da fuori danno l’idea di un posto losco e proibito con tanto di selezionatore all’ingresso che sta impalato con le gambe leggermente divaricate e mani raccolte sul davanti in tipica posa da rompitore di ossa.
Che palle! direte voi… ma invece no! Perché Dubai è meravigliosamente contraddittoria, se fai qualche km in più arrivi in un meganegozio chiamato Barracuda (forse non a caso) dove, senza tessera e senza limiti, trovi gente che riempie carrelli con cartoni di birre e di vino, dove anche noi abbiamo comprato alcool come se il giorno dell’apocalisse fosse vicino.
Certo poi sono affari tuoi nella strada dal Barracuda a casa, è un po’ una roulette russa dei poveri.
Vietato baciarsi e altre manifestazioni di affetto, vietato possedere materiale pornografico e oscurati tutti i siti del genere, ma poi esci e, in tutti i locali trovi prostitute che abbordano i vari manager, più o meno ubriachi, che si danno arie da seduttori.
In alcuni posti, chiamati “mignottodromi”, hanno la medesima aggressività delle loro colleghe di Patopong.
Quasi tutte le settimane una mano silenziosa infila sotto la mia porta un biglietto: hai bisogno di massaggi a domicilio? Certo, magari la schiena è così bloccata che non riesci a camminare, ci pensa lei, la fisioterapista nella foto che si sta succhiando l’indice della mano destra, mentre con la sinistra accarezza il suo reggiseno in pizzo bianco.
Se invece ti reggono le gambe, ad ogni angolo della città trovi Centri Benessere tutti decorati con immagini di orchidee e fanciulle dolcemente distese con tondi sassi neri allineati sulla schiena; ma niente di tutto questo succede lì dentro.
Magari vuoi un DVD a domicilio! C’è Mary! Abbiamo chiamato chiedendo che titoli annoverasse nel suo catalogo, lei ha risposto risoluta che ha tutto! Abbiamo chiesto allora se poteva passare alle 4 di notte, no problem sir!
Vietato andare al mare di sera, ma poi se ci vai vedi che c’è altra gente.
Vietato dormire insieme se non si è sposati, ma poi nessuno viene a controllare.
Infrangere le regole è un’esigenza umana che si manifesta anche a Dubai, certo se vieni pizzicato non te la cavi con due chiacchiere e una multa, ma forse anche per questo che è un po’ più eccitante.
Devi sapere dosare ribellione e disciplina perché ci sono cose sulle quali non si transige.
Vietati i gestacci in macchina, se li fai ad un Biancone poi quello fa la spia e ti arriva un multone che non puoi contestare.
Vietato importunare in genere, un ragazzo era in attesa del visto lavorativo che tardava ad arrivare, è andato a chiedere spiegazioni col suo italian style, magari un po’ troppo risentito e offeso da questo disservizio, ma l’hanno calmato subito con 4 ore di detenzione.
Vietato posizionarsi dal lato sbagliato per fare benzina, non si sgarra, piuttosto ti fanno fare mille manovre in un delirio di macchine in attesa, non c'è modo di convincerli: la benzina si fa dal lato giusto, altrimenti non si fa per niente.
E infine c’è la ferrea regola dell’umidità: la sera esci con una bella chioma setosa e lucente e poi torni con un maglione infeltrito arrotolato in testa: vietato uscire coi capelli sciolti.


 



domenica 29 aprile 2012

Tori e pescatori in Oman


Un’altra degli aspetti positivi di Dubai è che con un’oretta di macchina puoi raggiungere l’Oman.
L’Oman ha aperto i suoi confini ai visitatori solo nel 1990 e il suo cielo non è grattato da nessuna costruzione, al contrario è il cielo a lanciarsi verso il suolo coi suoi monsoni. Ciò fa dell’Oman l’unico paese della penisola arabica in cui i deserti diventano improvvisamente foreste con fiumi torrenziali che scendono a valle; lo stesso posto visitato in due momenti dell’anno differenti si mostra completamente diverso… questa è la cosa più vicina al concetto di quarta dimensione che io abbia mai conosciuto.
Per raccontarvi cos’ho visto e vissuto devo presentarvi i miei compagni di viaggio, visto che si sono rivelati ottimi colleghi tanto che durante la convivenza forzata non li ho segretamente odiati neppure per un minuto! C’è il pluridecorato socio di vita Castri, il rampante Guido con una doppia fondina ascellare dalla quale pendono due macchine fotografiche in ghisa che alterna come un giocoliere o come un fuciliere e, infine, il gattone Walter perennemente in calore con tanto di acuti miagolii intonati quanto quelli di un soprano.
Al mattino la sveglia segnava le 4e40, la nostra meta era Barka, un paesino sulla costa del nord dell’Oman che non credo veda molti turisti di solito. Siamo arrivati all’alba quando le barche dei pescatori tornano dalla loro battuta, l’intento era quello di immortalarli, ma dopo pochi scatti mi sono trovata con una cassetta di pesce in mano diretta al mercato sulla spiaggia con le sue mattonelle bianche in attesa della merce.
In tutta l’area eravamo 3 o 4 femmine, io ero l’unica sotto i 50 anni col primato di avere ginocchia e braccia scoperte e capelli al vento, ma ero perfettamente a mio agio, gli omaniti sono tutti gentilissimi, educati e sorridenti.
Anche loro vestono il Biancone, ma al posto della federa usano un cappellino ricamato in varie fantasie e, sarà che ormai mi sto abituando, sarà il loro portamento aristocratico, ma li ho trovati elegantissimi. Inoltre hanno dei bei lineamenti, qui Dolce e Gabbana sbroccherebbero.
La loro educazione è impeccabile, l’ospitalità è evidentemente sacra, nessuno ci ha sfottuti col solito “ah, Italia! Berlusconi…”.
Si sono lasciati fotografare pazientemente da noi 4 che giravamo come avvoltoi famelici tra enormi pesci lucidi e frutta e verdura matura appena uscita da una cornucopia.

Quando il sole era ormai alto, verso l’ora di pranzo, ci siamo concessi una sosta al mare appena fuori dal paese, immergendo i miei piedi nell’acqua ho guardato a destra e a sinistra: fino a perdita d’occhio eravamo gli unici umani a godere delle gioie marine.
Nel pomeriggio abbiamo raggiunto un’arena dove portano a combattere i tori… sì, hanno mucche e tori pure lì e sì, combattono, ma non pensate a nulla di crudele, i tori si limitano a spingersi con la testa l’un l’altro e vince quello che per primo costringe l’avversario a piegare le zampe anteriori.
La struttura è ampia e, nella sua circonferenza interna, riesce ad ospitare oltre 50 tori che aspettano pazientemente il loro turno tutti lustri e perfetti; il richiamo dell’evento è importante, i 3 gradini di spalti sono quasi tutti occupati dalla gente che si riversa anche nell’arena per accomodarsi sulla sabbia (miracolosamente senza sporcare i loro abiti candidi), salvo poi scattare in piedi e scappare quando uno dei tori decide che ne ha abbastanza e corre verso l’esterno perdendo l’incontro.
Io ero l’unica creatura di sesso femminile in quella bolgia festosa e sono stata trattata come un ospite d’onore, nessuno ha mai occupato il mio posto sugli spalti lasciandomi libera di andare e tornare a mio piacimento, seguita da un nugolo di bambini divertiti che ho conquistato semplicemente correndo e giocando con loro, i miei vicini di posto mi hanno offerto di tutto, da semi di girasole a misteriosi riccioli arancioni fritti e appiccicosi, che ho gentilmente rifiutato, anche se ora sono un po’ pentita.
I tori sbrigano velocemente la faccenda della lotta per accontentare gli uomini, i quali gli incitano semplicemente lanciando della sabbia sulle loro schiene, i miei compagni di viaggio si sono spinti a fotografarli tanto vicini da sentire il cozzare delle loro teste, superando la linea di confine disegnata sulla sabbia, gli unici ai quali è stato concesso di farlo. (Walter ha avuto l’ardire di fare tutto questo indossando una maglietta rosso vivace, dandoci la prova che ai tori, se non li infilzi, non li picchi e non li torturi, se ne fregano del rosso) Chi vince raddoppia il valore del suo animale, chi perde torna subito in fattoria senza rammarico, sempre a testa alta.
Verso sera quando il sole aveva trasfigurato Guido e la stanchezza reso tutti noi dei manichini di legno impolverati, ci siamo ritirati nel nostro rifugio crollando esausti e soddisfatti.

Solo il giorno dopo abbiamo avuto la fortuna di interagire con un gruppo di donne.
Sempre coperte dalla testa ai piedi ma, dimentiche del nero, le omanite preferiscono i colori sgargianti.
Girovagando per strade più o meno asfaltate, nell’attraversare un paesino senza nome, abbiamo notato un gruppo di donne sedute su una grande stuoia al riparo dal sole e subito ci siamo fermati. Non sapevamo bene come fare, fotografare le donne da queste parti può essere considerato offensivo, ma ormai eravamo lanciati e, in quanto donna, mi sono subito offerta come ambasciatrice per rompere il ghiaccio.
Una delle cose più belle di essere femmine è che questa è una condizione che non ha confini culturali o geografici, tutte le femmine se vedono altre femmine si riconoscono immediatamente e si sentono al sicuro; le femmine condividono un codice segreto che non viene insegnato perché è fisiologico quanto il respiro e che ti rende subito alleata, creando un “branco” al di là dell’appartenenza d’origine. Noi sappiamo che se una femmina straniera arriva con tre maschi stranieri, i maschi sono “a posto”, nessuno deve aver timore.
Quindi è stato questo a permetterei di sedere con loro e non i 4 biscottini al burro che ho portato in dono.
Il messaggio era chiaro, avevamo tutti una macchina fotografica, ma nessuno osava scattare o domandarne il permesso. Tra sorrisi e tentativi di comunicazione le donne omanite hanno avuto un’idea brillante: ci hanno portato i loro bambini, affidandoli alle nostre braccia lusingate.
I bambini sono magici e potenti, e questi inoltre erano bellissimi con le loro minuscoli unghie rosse di hennè, gli occhi d’inchiostro nero contornati da kajal e i capelli che profumavano di incenso, è stato tutto molto naturale, il legame era ormai stretto e le macchine fotografiche hanno incominciato a lavorare tra le loro risate e la nostra gratitudine.
Dapprincipio timide, queste donne si sono lasciate ritrarre a nostro piacimento, arrivando a cambiarsi di abito per sentirsi più belle e sicure, rimanendo sempre favolose.
Quando è arrivata una macchina della polizia fermandosi proprio davanti a noi, pensavamo che la festa fosse finita e ci siamo immobilizzati tutti (io in quel preciso istante stavo insegnando a fotografare ad una bambina di 2 o 3 anni, Mariah, che rideva a crepapelle ogni volta che vedeva il risultato del suo scatto sul display), ma alla fine il militare si è rivelato essere il figlio di una delle nostre nuove amiche che, come tutti i maschi del mondo, era andato a prendere del cibo dalla madre.
Poco dopo è arrivato Mohammed un signore con delle mani più grandi di Gianni Morandi, rubando la scena alle donne ci ha invitati a casa sua; è qui che assaggiamo l’ospitalità omanita: ci dissetiamo con della buonissima acqua piovana, del tè e mangiamo la fafaia (così si chiama la papaia qui) raccolta nel suo giardino. È difficile riuscire a riprendere il nostro viaggio, Mohammed ci vuole per pranzo, ma troviamo la forza di rifiutare e siamo di nuovo on the road fino alla famigerata Snoopy Island, un grosso scoglio battezzato così da qualcuno che evidentemente era riuscito a trovare della droga in giro.
Tuffarci in mare è stato liberatorio, eravamo tutti accaldati e stanchi io avevo i capelli come un cespuglio di paglia secca, Guido era di un colore rosso magenta, il Castri pezzato come uno dei tori del giorno prima e Walter… mah, Walter tutto sommato stava bene.
Anche in questo stato il mare ci ha accolti mostrandoci di quanta vita è capace, abbiamo terminato il nostro weekend nuotando tra pesci coloratissimi, tartarughe e giganti seppie aliene.
I 3 maschi dicono che c’era pure uno squalo, io non l’ho visto, pare che si sia allontanato nuotando sotto di me, ma avevo la testa fuori dall’acqua in quel momento e me lo sono perso… all’inizio ho pensato che fosse un tipico scherzo da maschi: “hai un ragno in testa”, “c’è uno squalo sotto di te”, ma poi ho notato le loro facce spaventate e ho ripensato al modo disperato in cui hanno urlato “c’è uno squalo!!!” e ho capito che non era una burla… mi spiace solo non aver provato anche io quel misto di eccitazione e paura che puoi avere vedendo una di queste creature fiere e bistrattate.

Se hai letto tutto fino a qui, prima di tutto: grazie, secondo significa che l’Oman è un posto che devi visitare, pensaci e fallo senza appoggiarti a viaggi organizzati, è un paese sicuro, economico e pressoché incontaminato.
L’Oman ha molte altre meraviglie che io non ho ancora visto: la via dell’incenso, la coltivazione delle rose per la produzione della famosa “acqua di rose”, un deserto pazzesco, montagne altissime, lussureggianti e lunari, un mare incontaminato dove nuotano delfini e molto altro.
Ma sono le persone a renderlo ancor più speciale, forse perché la loro curiosità nei nostri confronti è pari alla nostra, forse ancora non hanno avuto tempo di odiare il turismo, visto che è solo da pochi anni che le frontiere sono aperte, o forse è proprio la loro indole, in ogni caso per la prima volta nella mia vita mi sono sentita un’esploratrice e non una turista.