giovedì 9 ottobre 2014

Essere l'uomo bianco

Oggi è il 3 ottobre 2015, il caldo aleggia ancora prepotente nell’aria ed è un giorno speciale, Eid Al Adha, è una festa musulmana e più precisamente quella dedicata al sacrificio, in pratica deriva dalla vicenda di Abramo e Isacco, ma i figli sono risparmiati, tocca agli animali ‘sto giro, come da secoli ormai.
(Abramo e Isacco appartengono anche al cristianesimo, al di là di quello che molti credono sono molte di più le similitudini piuttosto che le differenze tra le due religioni…)
Vale tutto, a seconda delle possibilità, un cammello, una mucca, una capra… che sia carne però.
Si sacrifica, se ne fanno 3 porzioni: una rimane in famiglia, un’altra invece va donata alle persone più vicine, che siano gli zii o i vicini o gli amici più stretti, l’ultima è quella che dà il senso a questi 3 giorni di festa, perché è destinata ai poveri.
Così ci raccontava il tassista pakistano che ci stava portando dall’altra parte della città, spiegandoci che è si la festa del sacrificio, ma soprattutto la festa dei poveri, ok magari può essere argomentato meglio, ma io vi racconto le esatte parole che ha saputo dire quel giovane uomo nel suo inglese incerto (certo migliore del mio).
Non so bene che collegamento sia scattato nel suo cervello, ma ci raccontò anche che cinque giorni fa è venuta a mancare sua nonna ultracentenaria, neppure lui sapeva quanti anni aveva di preciso quella donna che non rinunciava a fare quel che aveva sempre fatto in vita, solo molto più lentamente. Il suo segreto per un’esistenza così longeva, assicurava l’uomo, era il fatto di vivere in mezzo alla natura, di nutrirsi solo con i frutti della propria terra, di bere alla propria fonte, ma soprattutto di non possedere l’aria condizionata, ebbene mi trovavo perfettamente d’accordo con lui, sempre detto che l’aria condizionata è il diavolo.
Alla fine arrivammo alla nostra meta e mi dispiacque scendere, sarei rimasta comodamente seduta ad ascoltare la sua placida voce raccontarmi di sua figlia di pochi mesi e del suo progetto di vita, molto simile al nostro: rimanere a Dubai quel tanto da poter accumulare un piccolo gruzzolo che gli consentisse di tornare a casa. Tutti erranti, partiamo da paesi e situazioni molto diverse tra loro e ci incrociamo mentre inseguiamo il medesimo scopo.
Scesi comunque e aspettai che Alessandro pagò, come al solito, più del dovuto… ogni volta che si parla con un tassista Ale non riesce a non dare una mancia ben spessa, a volte penso che si senta in colpa nel possedere soldi, anche se posso testimoniare che se li guadagna con fiotti di sudore che stillano dalla sua testa fumante, dedicando giornalmente ben oltre le 8 ore convenzionali italiane o le 10 dubaiane, ma forse il motivo è che Alessandro appartiene alla mia generazione, quella che ha imparato che se lavori per qualcuno devi ringraziarlo e il pagamento (o lo stipendio) è un di più, un premio insperato.
Ebbene eravamo arrivati, il programma della serata era Oktoberfest Reggae, con i migliori DJ kenioti in circolazione, non sapevo bene cosa aspettarmi, se crauti o gazzelle, ma di certo ero sicura di una cosa: avrei ballato.
E così fu, i ragazzi africani che vivono a Dubai non hanno necessità di un ritmo sostenuto, la loro selezione musicale era molto slow, più che ballare si dondolava dolcemente e col sorriso.
Mi guardavo in giro e vedevo splendida gente super-stilosa anche nelle loro mise più improbabile che mai averi osato neppure nella solitudine delle 4 mura casalinghe, però il loro possono permettersi di indossare qualunque cosa e stanno bene, tipo la maglietta pseudo-just cavalli con su il buon Bob Marley o il leopardato a strizzare copri floridi.
Abbiamo ballato e bevuto birra fino a quando Alessandro non ha ricevuto la prima chiamata dal bagno, alla quale ha risposto prontamente, una volta tornato mi ha raccontato di aver conosciuto un giovane arrivato dallo Zimbabwe, il dialogo è stato più o meno questo:
ragazzo: tu bevi e devi fare pipì
ale: …
ragazzo: tu mangi e devi fare popò
ale: …
ragazzo: il resto dormi, la vita è questa
ale: …
ragazzo: vengo dallo Zimbabwe ho 25 anni
ale: piacere, sono Alessandro e sono italiano
ragazzo: prendimi a lavorare con te
Lasciare senza parole Alessandro non è facile, questo è stato uno di quei momenti, perché gli aveva rivolto questa richiesta? Perché a lui… così a bruciapelo… in un bagno?
So che avrebbe voluto portarselo a casa, dargli quel lavoro, adottarlo se necessario, ma non potendo si è limitato a dargli il suo numero di telefono.
Per farvi comprendere lo stato d’animo di Alessandro pensate che non è riuscito a fare quel che doveva ed è tornato da noi per raccontarci quel dialogo un po’ surreale, tempo 30 secondi e sul suo cellulare è comparso un messaggio dello stesso ragazzo che lo salutava, rallegrandosi di averlo conosciuto.
Dopo qualche minuto Ale è tornato alla toilette, senza fare incontri, riuscendo a portare a termine la sua missione.
I DJ kenioti se ne fregano delle convenzioni, se una canzone gli piace non si fanno problemi a riproporla 2 o 3 volte nell’arco della stessa serata, li riconosci perché hanno un piccolo asciugamano poggiato sulla spalla sinistra, che tengono anche quando non sono alla consolle, noi si ballava ligi.
Proprio davanti a noi un ragazzo  indossava una maglietta con su scritto “jah is real”, per chi non lo sa Jah è il nome di Dio per i rastafariani, e Ale voleva fare una foto a quella scritta con sfondo i DJ kenioti, così… un ricordino della serata, purtroppo il ragazzo ballava, la luce era fioca e quindi s’è reso necessario che gli chiedessimo la cortesia di stare fermo un secondo per poter scattare.
Questo ha implicato sorrisi, strette di mano e complimenti, ma la foto non è venuta… troppa poca luce, fa niente. Senonchè lo stesso ragazzo dopo qualche minuto ritorna da noi e ci dice “se volete, per 100 dirham (20 euri) vi dò la maglietta”, io e Ale ci guardiamo negli occhi imbarazzati, Ale gli risponde ringraziandolo, gli mostra che ormai c’è rimasto più di una decina di euro, giusto il necessario per pagare il taxi del ritorno, lui ci sorride, altra stretta di mano e ritorna a ballare.
Penso che anche se l’avessi voluta a tutti i costi, mai mi sarei permessa di farlo spogliare lì all’istante! E non stiamo parlando di persone bisognose che si venderebbero le scarpe pur di mangiare eh!
Questi ragazzi bene o male lavorano tutti, altrimenti qui a Dubai non potrebbero starci. (io sì, che ho il passaporto italiano, io posso starci come turista anche 20 anni di seguito, basta che timbri ogni 30/40 giorni, il mio amico argentino –ad esempio- ha invece diritto ad un visto per un ingresso solo e dopo 30 giorni se ne deve andare, io invece posso entrare e uscire, rimanere o andare come mi pare)
Mi chiedo se puzziamo di soldi, Ale ha dei vecchi jeans e una T-shirt nera con su Guido e lui ritratti tipo blues brothers, io ho sandali, banalissimi leggings e una casacca H&M, orecchini di bigiotteria neri e stop… no, non è quello.
Qui a Dubai succede spesso che in qualità di donna bianca venga trattata con privilegi che altri non hanno, spesso mi fanno passare avanti nelle file, se sono al bancone di qualche negozio mi servono per prima, se io dico “c’era prima lei/lui”, questa/o che era davanti mi ringrazia e la persona dietro al bancone mi sorride come se io fossi infinitamente magnanima che io quasi ci rimango male!
Se c’è qualcuno che aspetta un taxi prima di me io mi tengo ben in disparte, perché se dovessimo alzare la mano contemporaneamente, il tassista si ferma da me… certo non se c’è una nerona o un biancone in attesa come noi, in quel caso biancone batte tutti.
Io mi vergogno di questo trattamento, mi dispiace, non ho fatto nulla per meritare tali favori, lo so cosa ha fatto per secoli l’uomo bianco e cosa continua a fare, io non voglio i privilegi conquistati con la prepotenza, prima di venire qui manco avevo l’esatta consapevolezza di essere bianca, era solo una delle milioni di cose alle quali non prestavo tanta attenzione.
Non voglio essere l’uomo bianco tipo quello della pubblicità che arriva a lavori fatti, lascia tutti in trepidante attesa, assaggia un ananas e poi dice , come se fosse una generosa concessione… porca zozza! Se è buono l’ananas lo decide chi si è spezzato la schiena per coltivarlo o chi lo compra per mangiarselo!
Certo, io mi lamento del disagio, del mio imbarazzo, del dispiacere che mi procura essere trattata come l’uomo del monte, ma voglio specificare: so benissimo che l’uomo nero sta molto, ma molto peggio.



lunedì 16 giugno 2014

Dragon Mart: la Cina a Dubai.

Questo post è dichiaratamente razzista, io stesso lo sono perché sostengo che non siamo tutti uguali, ad esempio noi la pazienza dei tibetani ce la sogniamo, il rigore degli svedesi pure, così come l’empatia degli nativi americani… o la folle genialità dei cinesi. La Cina è vicina, ovunque tu sia.

La Cina a Dubai non è dissimile dalla Cina in Italia o nel resto del mondo, è sempre lei, non si integra mai del tutto… è per questo che nascono le Little China Town un po’ ovunque. La Cina è coerenza quasi a livello Borg [vedi Star Trek], la Cina è tanta, ma tanta, gente che deve per forza straripare dai propri confini e annidarsi nel resto del mondo.
Qui a Dubai la Cina ha uno spazio commerciale lungo quasi un chilometro, dall’alto ha la forma di un serpente e si chiama Dragon Mart.
A Dubai, al di fuori di questo centro commerciale, difficilmente vedrai i tipici negozi cinno, quelli ai quali ormai sei abituato, con scarpe e borse che sanno di petrolio rancido e i vestiti che mi sono comprata anche io alla fine.
A me, che sono abituata alle cinesità un po’ diluite nelle periferie di ogni centro urbano, vedere una così alta concentrazione di commercio cinno mi frastuona e alla fine mi lascia ammirata, perchè i cinesi sono capaci di incredibili slanci che però cadono goffamente nel vuoto, un potenziale monco privo di direzione.
Inventano o rivisitano oggetti straordinari soprattutto nella loro inutilità o mal funzionalità…e lo fanno grandiosamente, quasi con genio.
Forse i cinesi non sono stati inventati per lavorare da soli, sono come la propulsione di qualcos’altro che ha idee. Cioè io non penso che i cinesi non abbiano fantasia, tutt’altro, ma questa fantasia non ha programmazione, ragionamento, lungimiranza… è meravigliosamente fine a se stessa come le farfalle che vivono un giorno solo e vengono chiamate Effimere. 
[a questo proposito ho recentemente scoperto che Highlander esiste, ma non indossa il kilt in quanto è una medusa: http://it.wikipedia.org/wiki/Turritopsis_nutricula ]
Comunque finiamo questa roba sui cinesi che non volevo farla molto lunga a parole, al contrario volevo fosse più un viaggio illustrato dedicato a tutti gli amici che faticano a leggere più di due righe e che invece sono gradi appassionati di figure. [chi si riconosce è perché sto parlando proprio di lui]
Nelle prossime foto potrete osservare alcuni oggetti che si possono acquistare nel paradiso delle cineserie, ringrazio la mia valletta Lidia, che mi accompagna sempre con entusiasmo nelle nostre spedizioni esplorative di questo paese alieno.

Al Dragon Mart ovviamente puoi trovare la moda made in Cina che però va un pelo oltre a ciò cui siamo generalmente abituati:


Perché non è questione solo di trovare roba oscena

…o presenza inquietanti…

…o bigiotteria aberrante…

…o anche di gadget inutili ai quali difficilmente si può resistere, 
anche se poi da sobrio perdono un po’ il loro fascino,

…qui si va oltre, verso l’ignoto.

L’indefinibile… qualcuno riesce a descrivere con un aggettivo un paio di pantaloni con scritto PISEL sul sedere?

O queste scarpe, che dopo l'invenzione del nunchaku e delle spade a farfalla, sono l'ultimo ritrovato fashion delle armi delle arti marziali.

O queste ruffianate… l’avete mai visto voi in Italia una collana del genere con su Napolitano?



Passiamo nel reparto salute e bellezza:

Toupè dentro cui nascondere il groviglio di uno chignon amorfo 
o qualsiasi altra cosa

Lenti a contatto in tutta sicurezza

Bidone sudatorio direttamente dagli anni 70, 
o sentieri di riflessologia casuale (sui cui effetti sono aperte le scommesse)

Certo che di fronte all’imbottitura per il sedere sono rimasta tentata, 
anche se sul color carne non ho dubbi: vomito.

Slittando invece sull’interior design al Dragon Mart possiamo mettere le mani su cosine tipo:

Una testa di cavallo discomusic

Mucca veneziana con coda a gondola

Cespo di insalata con drago

Pavone svaroschi, sullo sfondo cespo di insalata senza drago

Favolosa lampada che simula un’antenna parabolica. 
Scommetto che anche tu, vedendole sui tetti, 
hai desiderato di averne una in casa! 
E poi è anche funzionale, hai visto che luce?

Troni multicolor di tutte le misure

Questo.... niente, venduto.

Cover in parquet con effige patriottica


Ma il Dragon Mart pensa anche ai bambini:


Biro della santeria voodoo

Maschere di carnevale da serpente e coccodrillo, con funzionalissima parte ricadente sul viso

Ecco questa è una figata e confesso: l’ho comprata per il nipote. 
La foto non rende, ma è difficile fotografare una macchinina telecomandata che corre sul muro.

Porta foto angry birds con foto esplicativa di un volto insanguinato e attonito (wtf)

Mani da panda

E poi il paradiso del LED, ovviamente

Tutto per attività losche: macchinette contasoldi e telecamere nascoste che puoi dirottare comodamente sul tuo telefono

I cinesi sono avanti, hanno la risposta a qualsiasi desiderio, sono fiduciosi e chiaroveggenti perchè al Dragon Mart, tre mesi prima che a Dubai venisse assegnata la paternità per l’expo 2020,  vendevano già i braccialetti con il logo della futura manifestazione… cioè… noi l’expo ce l’abbiamo l’anno prossimo e il logo arcimboldesco è stato presentato DOPO il loro.

(è quello al centro, tra gli orecchini di instagram e i braccialetti con la mano di fatima)

mercoledì 12 febbraio 2014

Sorprese

Anche quest’anno è arrivato il compleanno di Alessandro, ogni anno gli faccio una sorpresa sempre diversa, ogni anno si aspetta qualcosa e mai quello che ho preparato per lui, ma non pensiate che sbagli perché sia dotato di scarsa fantasia, no, non indovina un po’ per gentilezza e un po’ perché lo rimbambisco con indizi fasulli.
Quest’anno l’ho confuso talmente tanto che ad un certo punto ha esclamato: “io odio le sorprese”, iniziando a sospirare verso le 14 del pomeriggio per terminare solo 5 ore dopo, quando nascondergli il tutto era ormai impossibile.
Alle 19 eravamo in aeroporto e alle 19e02 chiudeva il check-in, siamo riusciti a salire sul nostro aereo solo perché il leggendario “culo castricianense” era con noi, direzione Muscat, tutto era andato perfettamente alla fine.
In Oman il turismo non è molto sfruttato, anche troppo per i miei gusti, ma sempre molto meno rispetto a ciò cui siamo abituati, puoi trovare due categorie di alberghi: extralusso da 300 euro a notte o 3 stelle da 50 euri e prima colazione… di certo esisteranno anche offerte a minor prezzo, ma fra poco comprenderete perché noi ci fermiamo al 3 stelle.
Siamo partiti con i nostri 2 compagni di avventura, grazie ai quali la sorpresa è potuta diventare realtà dal momento che io boicotto le banche e non possiedo una carta di credito. Essendo loro sprovvisti del leggendario culo e, soprattutto, troppo gentili per scaricare a qualcun’altro una normale dose di sfiga random, è successo che al nostro arrivo in albergo si accollassero la camera con 2 letti singoli anziché matrimoniale, come da prenotazione.
Questo è il trascritto della piccola discussione che sembrava più un esercizio di pronuncia di sole 4 frasi:
1 ho solo una matrimoniale e una con due letti gemelli
2 io ho prenotato e pagato due matrimoniali
[e di nuovo] 1 ho solo una matrimoniale e una con due letti gemelli
3 allora ridammi i soldi della matrimoniale o dammi la matrimoniale
[ritornello] 4 non do soldi ho solo una matrimoniale e una con due letti gemelli
[e da capo]

Ok presa, dopo tutto è mezzanotte passata, la settimana di lavoro pesa sulle spalle e domani mattina non ci sarà tempo per dormire… e poi oggi è il compleanno di Ale!
Dov’è Ale?
Io lo so dov’è Ale, è andato a seguire un richiamo: musica attutita proveniente da sottoterra manco fosse uno dei bambini incantati dal pifferaio magico.
Poco lontano dal bancone della reception c’è un minuscolo disimpegno su cui affacciano: ascensore, 3 porte e due rampe di scale, una ascendente e uno discendente, tutto in un metro quadrato, se giri su te stesso velocemente puoi credere di essere in una illustrazione di Escher (o nel film Labyrinth… visto che ormai non si studia più la storia dell’arte). 
Imbocco le strette scale che scendono curvando su se stesse e che terminano davanti ad una porta chiusa, la musica lì è molto più forte, mi fermo un attimo poi apro la porta  con decisione e subito una nuvola di fumo passivo mi inghiotte.
La prima cosa che noto quando il fumo si dirada sono delle luci, tipo laser, rosse e verdi che disegnano scarabocchi elementari e schizofrenici su un accrocchio da pianobar formato da 3 o 4 tastiere, subito dopo sposto lo sguardo sul musicista, un omanita in tipico abito bianco lungo, il kandura, scavato in faccia e cieco ad un occhio... con l’occhio buono mi sta guardando, mi affido alla mia nonchalance e mi volto in cerca del Castri.
In realtà non so se posso stare lì o no, in quanto donna, straniera e, soprattutto, non invitata, quindi faccio quello che faccio di solito in questi casi: mi comporto come se fosse tutto normale, un po’ da sbruffona,  quasi avessi organizzato io la festa…chi sono tutti questi imbucati?! Ah, eccolo il Castri! Perfettamente a suo agio lo vedo che balla sorridendo come un buddha tra laser, fumo, omaniti in kandura e cappellino, sedie e tavoli di broccato rosso. L’ambiente è molto piccolo, la musica è alta, il fumo dona al tutto i contorni di un sogno.
“Ale ci sono dei problemi, prendiamo le camere e poi torniamo”, mi fa sì con la testa... o sta ballando? Di certo ride, mi guarda… ok capito, torno su.
Subito sento Guidowsky (compagno d’avventura) che protesta appoggiato al bancone, il suo tono è più acceso rispetto al precedente esercizio di pronuncia, è stato nella sua stanza con i famosi letti gemelli e pare che li chiamino così perché dentro ci dormono davvero dei gemelli… uno solo però, l’altro doveva essere scappato dalla finestra, all’improvviso come in un film d’azione, perché aveva lasciato un bel buco nel vetro.
Io abilissima mi lancio in un complicato calcolo: ma se nella stanza con i letti gemelli ci dormono i gemelli e non ci danno un’altra matrimoniale perché non ci son più camere a disposizione… che cappero succede ora?!
La disponibilità del tizio in reception è pari allo zero, dice che non ci crede e deve controllare, intanto il compagno Guidowsky infuriato come qualcuno che ne ha più di una da sfogare, alza la voce come rarissimamente l’ho sentito, forse è la prima volta a dirla tutta, decido di distrarlo e lo mando nel sotterraneo senza avvisarlo di niente.
Poco dopo torna su con Ale, sorridono, gli chiedo “com’è?” lui risponde solo: non so… il mio gay radar è scattato, è un locale gay.
Io non concordo, mò degli uomini non possono ritrovarsi in un sotterraneo per ballare un po’ o ascoltare musica che subito sono gay?!
Vengo immediatamente distratta dalla discussione che si anima al bancone, Ale e Guido urlano, il receptionist mai, non pare si riesca a trovare una soluzione, Guido vuole andarsene, Ale non può farlo, deve tornare nel sotterraneo. 
Alessandro infine dice: chiamiamo la polizia.
Nel frattempo alcuni omaniti di passaggio, che sono un po’ come gli italiani, si fermano ad ascoltare chiedendo che succeda. Ale spiega con enfasi castriciana il dolore che quel paese gli sta infliggendo, che mai è stato trattato così, che mai si aspettava una così scarsa disponibilità.. saranno 20 volte che viene in Oman, in quanto ama questo paese e la sua ospitalità… e all’improvviso il silenzio.
Entra un uomo che definirlo tale pare riduttivo, sembrava più il modello anatomico di qualche scuola di fumetto, tutti i suoi muscoli erano gonfi oltre il naturale, le spalle erano unite al collo da un muscolo con una spiovenza tipica dei tetti delle case nordeuropee, quasi fosse un cardassiano (cit. Star trek); aveva il sedere più rotondo e sporgente del mondo che dovevi toccare, i deltoidi erano talmente grandi che sembrava avesse due mappamondi al posto delle spalle… era Gaib, l’uomo della sicurezza, un ragazzo di colore alto non più di un metro e 60.
Il tono di Ale s’è ingentilito immediatamente “Mr Gaib, per fortuna è arrivato, qui c’è un grande problema e sono certo che lei potrà risolverlo”.
Io non so come ha fatto, perché Gaib non ha detto una sola parola, non ha quasi ascoltato quello che Ale diceva, eppure ha guardato il signore alla reception e d’improvviso questi ha detto: “ok aspettate e vi daremo un’altra camera”.
Evviva Gaib!  E mentre scendevamo tutti per le scale verso il sotterraneo non facevamo altro che commentare Mr Gaib, “quando gli ho stretto la mano non ho potuto non toccargli il braccio… è… DURO!”, “ hai visto le chiappe?”, “no, tu hai guardato le chiappe di Gaib?!!!!”---[sguardo inceneritore di Alessandro su di me]

Entriamo nel locale tutti e quattro come un colpo d’aria improvviso, ok invitati o no, noi rimaniamo qui.
Il locale è piccolissimo, due stanze, sono tutti uomini, ma questo è ovvio, figurati se le donne se ne vanno nei locali fumosi di notte fonda! Seguo i miei compagni e arriviamo ad una sorta di bancone e, con mia immensa sorpresa cosa vediamo?
Birraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Non solo: omaniti ubriachi, pescatori ubriachi, giovani e vecchi ubriachi e… rullo di tamburi…. una donna che beveva la birra con il suo vestito nero e il capo coperto!!!!!!!
Ora potevo dirlo: era un luogo di perdizione!!
Al massimo della gioia abbiamo ordinato 4 birre e subito siamo stati investiti dalla solita meravigliosa ospitalità omanita, tutti volevano conoscerci, sapere da dove venivamo, uno aveva lavorato in Grecia e per farmi una cortesia mi parlava in greco…inutile dire che non capivo niente.
E strette di mano e baci, e benvenuti, e bevete… beviamo!!
Faticosamente abbiamo raggiunto un tavolo, nell’oscurità non ho avuto bisogno del luminol per capire che Grissom avrebbe avuto il suo bel da fare nel raccogliere prove lì dentro.
Così è partita una festa incredibile, ogni canzone che il guercio cantava non partiva senza la sua presentazione e una speciale dedica all’Italia, all’amicizia e a sghefrsshhgfgffssh (non capivo mica tutto eh).
Il notare che apprezzavamo particolarmente i ritmi arabi poi non ha fatto altro che alimentare maggiormente il calore dell’atmosfera, quando infine è arrivato il momento di svelare che era il compleanno di Ale allora è cominciato un pellegrinaggio al nostro tavolo di re magi con sempre il solito dono, niente incenso, ma birra! 
Dall’altro capo della stanza ti esortavano a bere, perché potessero così approvvigionarci velocemente di altre lattine, così nel giro di mezz’ora avevamo i piccoli tavoli imbanditi di diversi litri di birra che rioffrivamo ai nuovi arrivati in un circolo magico di condivisione e W l’Italia e W l’Oman, e sempre, happy birthday Castriciano!
In questo clima interculturale e festoso il nostro Maestro alle tastiere aveva un po’ terminato il suo repertorio e, lasciando una base di bossa-nova che andava in loop, abbandonava la sua plancia di comando sempre più spesso, fino a che un grosso ragazzone non si è impossessato del microfono.
All’inizio non ho subito riconosciuto la canzone, ma poi è stato evidente a tutti che cantava Bob Marley: ovazione! Ecco il vero esperanto nel mondo: il reggae!
Tutti quanti ballavano, Alessandro era ormai residente sulla pedana che fungeva da palco fino a che anche il ragazzone ha deciso di farsi una pausa lasciando pericolosamente il microfono libero.
Il loop di una base non meglio indentificata continuava a girare col suo ritmo sincopato, non ci ho messo molto a convincerlo… dopo pochi secondi Alessandro stava cantando “Acqua e sale” di Mina e Celentano e dal fondo della stanzetta noi altri 3 cantavamo a squarcia gola per dare coraggio al Castri, che pur nella sua spavalderia, ha cantato tutto il pezzo dando le spalle al pubblico… o forse era un sottile omaggio a Jim Morrison. Un po’ inventando, un po’ ripetendo le parole che conosceva, ha terminato il brano e subito uno scroscio di applausi si è versato nel locale… eravamo delle star.
Il ragazzone è tornato quasi commosso e ha proposto un duetto al Castri, vederli insieme cantare Jamming (un pezzo di loro invenzione composto quasi interamente dalla parola Jamming) è stato fantastico e alla fine gli abbracci e i ringraziamenti con tanto di mano sul cuore si sprecavano, Jamming è un brano che tocca le anime evidentemente.

Alla fine il radar del compagno Guidowsky funzionava bene, era veramente un locale gay, niente, se non un gesto della mano o una certa delicatezza nel ballare o cantare, poteva suggerirlo, l’Oman è uno di quei paesi in cui l’omosessualità è un reato per legge, punibile con un’ammenda e da 6 mesi a 3 anni di reclusione… ben poco a confronto con altri posti dove è prevista addirittura la pena di morte. È inutile discutere sull’assurdità di queste leggi, anche perché puoi costruire dighe o argini altissimi, l’acqua troverà sempre la sua strada per scorrere, piuttosto riflettevo sulla percezione e sulla necessità del proibito; stavamo tutti lì a bere semplice birra e ballando, ognuno i propri gusti sessuali e stavamo trasgredendo la legge, la medesima cosa in Italia è paragonabile ad una festa delle medie!.È bello pensare che per qualcuno sei come l’Olanda che, nel nostro immaginario, è una terra di libertà… e chissà cosa pensano dell’Olanda!

In ogni caso io mi sentivo felice, come tutti del resto, perché trasgredire ti fa sentire come se stessi superando un limite, quindi qualcosa che si avvicina molto all’incedere dell’evoluzione o forse sono magie che capitano solo il giorno del compleanno del Castri.

Ecco una testimonianza di questo racconto, la scarsa qualità è dovuta al fatto che era proibito fotografare, ma da bravi, abbiamo trasgredito.




[© Guidowsky e Lidiuz, io nella confusione avevo dimenticato il cellulare a casa]