domenica 29 aprile 2012

Tori e pescatori in Oman


Un’altra degli aspetti positivi di Dubai è che con un’oretta di macchina puoi raggiungere l’Oman.
L’Oman ha aperto i suoi confini ai visitatori solo nel 1990 e il suo cielo non è grattato da nessuna costruzione, al contrario è il cielo a lanciarsi verso il suolo coi suoi monsoni. Ciò fa dell’Oman l’unico paese della penisola arabica in cui i deserti diventano improvvisamente foreste con fiumi torrenziali che scendono a valle; lo stesso posto visitato in due momenti dell’anno differenti si mostra completamente diverso… questa è la cosa più vicina al concetto di quarta dimensione che io abbia mai conosciuto.
Per raccontarvi cos’ho visto e vissuto devo presentarvi i miei compagni di viaggio, visto che si sono rivelati ottimi colleghi tanto che durante la convivenza forzata non li ho segretamente odiati neppure per un minuto! C’è il pluridecorato socio di vita Castri, il rampante Guido con una doppia fondina ascellare dalla quale pendono due macchine fotografiche in ghisa che alterna come un giocoliere o come un fuciliere e, infine, il gattone Walter perennemente in calore con tanto di acuti miagolii intonati quanto quelli di un soprano.
Al mattino la sveglia segnava le 4e40, la nostra meta era Barka, un paesino sulla costa del nord dell’Oman che non credo veda molti turisti di solito. Siamo arrivati all’alba quando le barche dei pescatori tornano dalla loro battuta, l’intento era quello di immortalarli, ma dopo pochi scatti mi sono trovata con una cassetta di pesce in mano diretta al mercato sulla spiaggia con le sue mattonelle bianche in attesa della merce.
In tutta l’area eravamo 3 o 4 femmine, io ero l’unica sotto i 50 anni col primato di avere ginocchia e braccia scoperte e capelli al vento, ma ero perfettamente a mio agio, gli omaniti sono tutti gentilissimi, educati e sorridenti.
Anche loro vestono il Biancone, ma al posto della federa usano un cappellino ricamato in varie fantasie e, sarà che ormai mi sto abituando, sarà il loro portamento aristocratico, ma li ho trovati elegantissimi. Inoltre hanno dei bei lineamenti, qui Dolce e Gabbana sbroccherebbero.
La loro educazione è impeccabile, l’ospitalità è evidentemente sacra, nessuno ci ha sfottuti col solito “ah, Italia! Berlusconi…”.
Si sono lasciati fotografare pazientemente da noi 4 che giravamo come avvoltoi famelici tra enormi pesci lucidi e frutta e verdura matura appena uscita da una cornucopia.

Quando il sole era ormai alto, verso l’ora di pranzo, ci siamo concessi una sosta al mare appena fuori dal paese, immergendo i miei piedi nell’acqua ho guardato a destra e a sinistra: fino a perdita d’occhio eravamo gli unici umani a godere delle gioie marine.
Nel pomeriggio abbiamo raggiunto un’arena dove portano a combattere i tori… sì, hanno mucche e tori pure lì e sì, combattono, ma non pensate a nulla di crudele, i tori si limitano a spingersi con la testa l’un l’altro e vince quello che per primo costringe l’avversario a piegare le zampe anteriori.
La struttura è ampia e, nella sua circonferenza interna, riesce ad ospitare oltre 50 tori che aspettano pazientemente il loro turno tutti lustri e perfetti; il richiamo dell’evento è importante, i 3 gradini di spalti sono quasi tutti occupati dalla gente che si riversa anche nell’arena per accomodarsi sulla sabbia (miracolosamente senza sporcare i loro abiti candidi), salvo poi scattare in piedi e scappare quando uno dei tori decide che ne ha abbastanza e corre verso l’esterno perdendo l’incontro.
Io ero l’unica creatura di sesso femminile in quella bolgia festosa e sono stata trattata come un ospite d’onore, nessuno ha mai occupato il mio posto sugli spalti lasciandomi libera di andare e tornare a mio piacimento, seguita da un nugolo di bambini divertiti che ho conquistato semplicemente correndo e giocando con loro, i miei vicini di posto mi hanno offerto di tutto, da semi di girasole a misteriosi riccioli arancioni fritti e appiccicosi, che ho gentilmente rifiutato, anche se ora sono un po’ pentita.
I tori sbrigano velocemente la faccenda della lotta per accontentare gli uomini, i quali gli incitano semplicemente lanciando della sabbia sulle loro schiene, i miei compagni di viaggio si sono spinti a fotografarli tanto vicini da sentire il cozzare delle loro teste, superando la linea di confine disegnata sulla sabbia, gli unici ai quali è stato concesso di farlo. (Walter ha avuto l’ardire di fare tutto questo indossando una maglietta rosso vivace, dandoci la prova che ai tori, se non li infilzi, non li picchi e non li torturi, se ne fregano del rosso) Chi vince raddoppia il valore del suo animale, chi perde torna subito in fattoria senza rammarico, sempre a testa alta.
Verso sera quando il sole aveva trasfigurato Guido e la stanchezza reso tutti noi dei manichini di legno impolverati, ci siamo ritirati nel nostro rifugio crollando esausti e soddisfatti.

Solo il giorno dopo abbiamo avuto la fortuna di interagire con un gruppo di donne.
Sempre coperte dalla testa ai piedi ma, dimentiche del nero, le omanite preferiscono i colori sgargianti.
Girovagando per strade più o meno asfaltate, nell’attraversare un paesino senza nome, abbiamo notato un gruppo di donne sedute su una grande stuoia al riparo dal sole e subito ci siamo fermati. Non sapevamo bene come fare, fotografare le donne da queste parti può essere considerato offensivo, ma ormai eravamo lanciati e, in quanto donna, mi sono subito offerta come ambasciatrice per rompere il ghiaccio.
Una delle cose più belle di essere femmine è che questa è una condizione che non ha confini culturali o geografici, tutte le femmine se vedono altre femmine si riconoscono immediatamente e si sentono al sicuro; le femmine condividono un codice segreto che non viene insegnato perché è fisiologico quanto il respiro e che ti rende subito alleata, creando un “branco” al di là dell’appartenenza d’origine. Noi sappiamo che se una femmina straniera arriva con tre maschi stranieri, i maschi sono “a posto”, nessuno deve aver timore.
Quindi è stato questo a permetterei di sedere con loro e non i 4 biscottini al burro che ho portato in dono.
Il messaggio era chiaro, avevamo tutti una macchina fotografica, ma nessuno osava scattare o domandarne il permesso. Tra sorrisi e tentativi di comunicazione le donne omanite hanno avuto un’idea brillante: ci hanno portato i loro bambini, affidandoli alle nostre braccia lusingate.
I bambini sono magici e potenti, e questi inoltre erano bellissimi con le loro minuscoli unghie rosse di hennè, gli occhi d’inchiostro nero contornati da kajal e i capelli che profumavano di incenso, è stato tutto molto naturale, il legame era ormai stretto e le macchine fotografiche hanno incominciato a lavorare tra le loro risate e la nostra gratitudine.
Dapprincipio timide, queste donne si sono lasciate ritrarre a nostro piacimento, arrivando a cambiarsi di abito per sentirsi più belle e sicure, rimanendo sempre favolose.
Quando è arrivata una macchina della polizia fermandosi proprio davanti a noi, pensavamo che la festa fosse finita e ci siamo immobilizzati tutti (io in quel preciso istante stavo insegnando a fotografare ad una bambina di 2 o 3 anni, Mariah, che rideva a crepapelle ogni volta che vedeva il risultato del suo scatto sul display), ma alla fine il militare si è rivelato essere il figlio di una delle nostre nuove amiche che, come tutti i maschi del mondo, era andato a prendere del cibo dalla madre.
Poco dopo è arrivato Mohammed un signore con delle mani più grandi di Gianni Morandi, rubando la scena alle donne ci ha invitati a casa sua; è qui che assaggiamo l’ospitalità omanita: ci dissetiamo con della buonissima acqua piovana, del tè e mangiamo la fafaia (così si chiama la papaia qui) raccolta nel suo giardino. È difficile riuscire a riprendere il nostro viaggio, Mohammed ci vuole per pranzo, ma troviamo la forza di rifiutare e siamo di nuovo on the road fino alla famigerata Snoopy Island, un grosso scoglio battezzato così da qualcuno che evidentemente era riuscito a trovare della droga in giro.
Tuffarci in mare è stato liberatorio, eravamo tutti accaldati e stanchi io avevo i capelli come un cespuglio di paglia secca, Guido era di un colore rosso magenta, il Castri pezzato come uno dei tori del giorno prima e Walter… mah, Walter tutto sommato stava bene.
Anche in questo stato il mare ci ha accolti mostrandoci di quanta vita è capace, abbiamo terminato il nostro weekend nuotando tra pesci coloratissimi, tartarughe e giganti seppie aliene.
I 3 maschi dicono che c’era pure uno squalo, io non l’ho visto, pare che si sia allontanato nuotando sotto di me, ma avevo la testa fuori dall’acqua in quel momento e me lo sono perso… all’inizio ho pensato che fosse un tipico scherzo da maschi: “hai un ragno in testa”, “c’è uno squalo sotto di te”, ma poi ho notato le loro facce spaventate e ho ripensato al modo disperato in cui hanno urlato “c’è uno squalo!!!” e ho capito che non era una burla… mi spiace solo non aver provato anche io quel misto di eccitazione e paura che puoi avere vedendo una di queste creature fiere e bistrattate.

Se hai letto tutto fino a qui, prima di tutto: grazie, secondo significa che l’Oman è un posto che devi visitare, pensaci e fallo senza appoggiarti a viaggi organizzati, è un paese sicuro, economico e pressoché incontaminato.
L’Oman ha molte altre meraviglie che io non ho ancora visto: la via dell’incenso, la coltivazione delle rose per la produzione della famosa “acqua di rose”, un deserto pazzesco, montagne altissime, lussureggianti e lunari, un mare incontaminato dove nuotano delfini e molto altro.
Ma sono le persone a renderlo ancor più speciale, forse perché la loro curiosità nei nostri confronti è pari alla nostra, forse ancora non hanno avuto tempo di odiare il turismo, visto che è solo da pochi anni che le frontiere sono aperte, o forse è proprio la loro indole, in ogni caso per la prima volta nella mia vita mi sono sentita un’esploratrice e non una turista.              












                          

mercoledì 18 aprile 2012

Andare al pronto soccorso (No mamma, non sono io che ne ho avuto bisogno)


A Dubai non esiste il lavoro in nero e chiunque abbia un contratto ha anche un’assicurazione medica. Ci sono diversi ospedali nella città, è in uno di questi che abbiamo accompagnato X che però, come me, non ha un’assicurazione medica.
X è un uomo del modello testardo, che finge di non stare male nella speranza che, ignorando la cosa, questa si stufi e passi da sola. Il modello testardo quando il male non guarisce sa esattamente cosa fare: passare al piano B.
Il piano B prevede una telefonata seria, calma e grave ad un amico (in questo caso Alessandro), durante la quale non utilizzerà molte parole, perché teme che una descrizione accurata possa agitare le acque e questo peggiorerà la situazione, tentativo inutile perchè noi italiani abbiamo l’indole drammatica e adoriamo appassionarci con tutta la nostra emotività a qualche dramma, seppur modesto.

“Ale?”
“Uè ciao! Come va?”
“Eh… male, sono 3 giorni che ho dei giramenti di testa fortissimi tipo quando sei ubriaco marcio… non passa, non è la pressione, mi accompagni al Pronto Soccorso?”
“Ok arrivo” e chiude il telefono con la stessa espressione di Bruce Willis in Die Hard.

Io e Alessandro eravamo a fare la spesa, abbiamo caricato i sacchetti in macchina sereni: qualsiasi cosa fosse successa,  nessuno sarebbe morto di fame.
Abbiamo varcato la soglia dell'ospedale in silenzio, senza sapere bene cosa aspettarci, ma già sentendo un certo bruciore pervenire dal fondoschiena, un po’ per pessimismo e un po’ per prepararsi alla cosa, abituati come siamo ad un’assistenza sanitaria pubblica.
Ed è così che si apre davanti ai nostri occhi l’atrio di un ospedale di periferia: una stanza circolare, luminosa come in un sogno, lastricata di raffinato marmo nero e bianco latte, con comode poltrone in pelle; qua e là tavolini di vetro offrono soffici fazzoletti che sbuffano fuori da scatoline bianche, al centro un lampadario di elegantissimo design, così come l’orologio che svetta su una parete segnando le 20e30.
Non c’è molta gente, ma quella che c’è non può non notare il nostro ingresso all’italiana: un cristiano bisognoso che cammina perfettamente sulle sue gambe e 3 persone di accompagno (durante il tragitto siamo stati raggiunti da TTS, Tutta Testa Stefano) che cercano con ogni mezzo di rendersi utili creando una confusione molto simile ad una commedia di Edoardo De Filippo.
“Siediti”, “faccio io”, “quand’è che sei nato?”, “sei comodo qui?”, “aspetta vado a chiedere”, “hai una penna? Aspetta è qui”, DRIIIIIIN “si siamo qui, eh sta sempre male”, DRIIIN “si si, siamo arrivati, ancora non l’hanno visitato, aspetta che chiedo”, DRIIIN “ si è occupato perché ora è al telefono con Sara, torna a casa dopo che hanno visitato X”, “no no, ancora non sappiamo niente, poi ti richiamo” (l’italiano vuole partecipare anche a distanza).
Dietro ad un bancone in legno nero e cristallo satinato siedono tre persone che ti chiedono immediatamente il motivo della visita e altri dati personali, tutte risposte sulle quali il povero X non avrà il minimo controllo, Ale e TTS conducono il gioco (si scoprirà più avanti che Alessandro ha anche tentato di organizzare un’uscita tra X e un’infermiera… o un dottore, non ho ben capito).

La visita è breve, il dottore sudanese fa due domande, lo misura in vari modi e capisce al volo, fa sdraiare X e subito dopo dichiara: è  vertigine posizionale parossistica benigna (che quel benigna lì in fondo credo l’abbiano aggiunta per farti riassumere la tua espressione abituale dopo che hai strabuzzato gli occhi e spalancato la bocca), poi conclude con “vai a casa e guarda su Youtube l’esercizio che devi fare per tornare come nuovo”.
Andiamo a ritirare le medicine e poi in cassa: tempo impiegato 50 minuti, costo totale dell’operazione 55 euro… e subito pensi “ma in Italia i ticket a cosa servono, visto che abbiamo una sanità pubblica?”

Ah, Dott. Sudan aveva ragione, abbiamo consultato internet e rifatto l’esercizio, in 5 minuti netti a X è passata la sbornia benigna, certo rimane il mistero sul perché non l’abbia fatta lui lì in ambulatorio, ma si vede che qui ti vogliono rendere partecipe, vogliono che tu stesso sia il protagonista della tua guarigione, vogliono che ti informi! In Italia se dici al tuo dottore che hai fatto una ricerca su internet ti guarda come si guardano i cuccioli di cane che inciampano sulle proprie zampe, commiserando la tua ingenuità e subito dopo ammonendoti sulla dannosità della cosa, certo… la conoscenza è pericolosa.

Qui potete vedere la manovra salvavita detta anche Manovra di Epley


mercoledì 11 aprile 2012

I centri commerciali, no smoking and no kissing please.



Andare in un centro commerciale a Dubai è come prepararsi per il cammino di Santiago con la certezza di non avere nessuna epifania.
Nei cartelloni pubblicitari dei mall ti consigliano di visitare il sito e la cartina con tutti i punti vendita, così da prepararti un percorso, una strategia, come in Risiko.
Da noi c’è il Festival di Sanremo o il Festival del cinema di Venezia, qui c’è il Festival dello shopping, perché il momento dei saldi è l’apice del godimento di tutte le vittime della sindrome da acquisto compulsivo. I frustrati dall’ansia del possesso arrivano da tutto il mondo e non passeggiano guardano le vetrine, ma corrono inzavorrati da sacchetti e borse, uscendo stremati, sedati e storditi.

I mall si raggiungono in metropolitana o in macchina, se arrivi in metropolitana parti già a difficoltà 4, perché l’ibernazione è un pericolo reale e lo squaraus assicurato ai deboli di intestino, l’aria condizionata non è solo sui treni, ma anche nelle banchine e non hai scampo dall’abbraccio siberiano che dura circa un’ora. (la metropolitana di Dubai assomiglia più al trenino panoramico di Gardaland per la lentezza con la quale procede)
Se invece arrivi in macchina dovrai superare un dedalo di svolte in parcheggi multipiano, aiutato da Altri posizionati sul percorso con bastoni luminosi come spade jedi che ti indicheranno la strada e tu, alla fine, parcheggi con la schiena appena mossa da un brivido dato dalla consapevolezza che al ritorno sarai solo; quindi memorizzi numero di stallo, corridoio e area (5632, G, verde) come un codice da mission impossible… il disorientamento è lo stesso di quando ti fanno girare su te stesso bendato prima di giocare a mosca-cieca.
Ma è proprio nel parcheggio che incomincia il servizio, se vuoi, mentre fai la spesa o prendi un gelato guardando gli squali annoiati girare su se stessi nell’acquario gigante, c’è un Altro che ti lava la macchina lucidandola a mano come in Karate kid.

Dentro ti imbatti immediatamente in un “voi siete qui”, con tanto di personale addetto alle indicazioni che ti porge la mappa del luogo e altre informazioni tipo: l’ubicazione dei 29 sportelli bancomat o della stanza delle preghiere e i vari divieti.
All area is no smoking e no kissing.
Per l’esattezza è vietato baciarsi o altre evidenti/manifeste dimostrazioni di affetto.
Ci tegono, si sa, l’amore è una grandissima distrazione dall’acquisto, se sei innamorato non ti serve altro al mondo, quindi qui vietare l’amoreggiamento è un’operazione di marketing mascherata da regola di buona educazione.
Non oso pensare a questi bambini che crescono senza mai vedere i loro genitori coccolarsi o scambiarsi un bacio, dev’essere aberrante e lesivo, perché in realtà il divieto alle palesi manifestazioni di affetto è una regola che vige in tutta la città, ed è così innaturale per me che più volte devo abortire uno slancio di gioia che si tramuta in abbraccio e vorrebbe concludersi con un bacio, ma che diventa un movimento goffo troncato nell’aria e chiuso da un piccolo broncio.
Non si può passeggiare abbracciati qui, al massimo è tollerato tenersi per mano, e non si rischia una multa… io e Alessandro stiamo dormendo sotto lo stesso tetto nella più completa illegalità, se dovessero scoprire che non siamo sposati rischieremmo fino a 2 anni di galera.
Per fortuna evitano controlli e, se non fai nient’altro di male, difficilmente verrai condannato per questo.
Comunque se non baci nessuno, non fumi e non vai in pattini, nessuno interromperà a tua esperienza al centro commerciale, e potrai vedere le labbra livide dal freddo delle commesse di Cartier; o la fila di tuniche nere davanti all’entrata di YSL, tutte eccitate e febbrili come se dentro le aspettasse George Clooney; o potrai ascoltare l’incredibile rombo del macchinario che mantiene la temperatura a +2° nella pista da sci; oppure vagare senza meta perdendoti tra corridoi e marmi scintillanti, dimentico del tempo che passa.
I centri commerciali hanno una missione a Dubai, sostituiscono la piazza, sono il luogo di passeggio e di incontro, molto del loro spazio è dedicato ad attrazioni: c’è l’acquario gigante, con il pannello trasparente più grande del mondo con tanto di targa ce-l’ho-grosso dei Guinness dei primati; c’è la prima pista da sci indoor del mondo (qui manca la targa ce-l’ho-grosso del più grande spreco di energia in una minchiata); c’è la pista su ghiaccio dove poter guardare partite di hockey di cui non ti importa un fico secco; oppure semplicemente atrii immensi che raccordano un’area all’altra, creati col sadico scopo di stancarti inutilmente nell’attraversarli… certo non senza esclamare “quanto ce l’hanno grosso!”…”e tutto di marmo!”.
Un po’ di numeri per allietarvi: il Dubai Mall è grande 1.124.000 m2 disposti su 3 piani, 1200 negozi (tra cui il negozio di dolciumi più grande del mondo, Candylicious, coi suoi 1000 m2) e 16.000 posti auto.
Nel 2010, in piena crisi economica, 47 milioni di persone (no, lo riscrivo mettendo gli zeri perché renda meglio: 47.000.000 di persone… in Italia siamo 60 milioni) sono entrate nel centro commerciale, quasi 129.000 al giorno!
Immaginatevi cos’è fare la spesa nel giorno di punta! Io e Ale una volta siamo entrati alle 19e30 e usciti alle 23, gente come Bear Grylls o Chuck Norris ci fa una pippa!

se fumi: multa di 40 euri circa, se baci: un mese di reclusione

 
where do you go?

 
e i pattini sono vietati!


 
the age of aquarius

 
una cioccolata calda davanti al caminetto

 
intanto fuori ci sono 40°

martedì 3 aprile 2012

Il lavoro e gli Altri

Dal punto di vista lavorativo (io ti do la mia energia e il mio tempo e tu mi dai i soldi) questo è un paradiso, un posto che forse non pensavi esistesse, chiunque può venire qui e trovare un lavoro in meno di un mese. E infatti lo fanno in moltissimi, certo la questione dell’uguaglianza non è ben chiara, o volutamente ignorata, ma in questo particolare caso noi siamo dei privilegiati.
So che molti di voi hanno problemi e soffrono una condizione lavorativa degradante o sfibrante, che vivono in costante rassegnazione, ma il mondo non finisce in Italia e quindi a volte bisogna farsi pionieri e muoversi. L’hanno fatto in migliaia da sempre, ora tocca a noi.
Vesto i panni del pifferaio magico e vi suono queste parole per attrarvi al di là del confine di quel paese (il nostro) che ci ha sottratto ogni prospettiva, che senza di noi esaurirebbe in poco tempo. Se non si può debellare un male una valida alternativa per sopprimerlo è evitare di alimentarlo, Loro vivono sulle nostre spalle, grazie alla nostra forza lavoro che sfruttano senza ritegno in virtù di una ricchezza veloce ed effimera.
Ho sempre pensato che se per un giorno tutti i Co.Co.Pro. e gli stagisti non andassero a lavorare per sciopero, malattia o per scherzo, l’Italia intera si paralizzerebbe, immobile nella sua ingiustizia bavosa.
Facciamolo, facciamo di peggio, usciamo dai confini e portiamo la nostra energia altrove, facciamoli morire di fame.
A chi pensa che non riuscirebbe mai a lasciare la sua terra dico che tutto il mondo è la nostra terra, e che moltissimi personaggi costretti all’esilio hanno trovato una seconda casa, e che lavorare all’estero ti sembra più leggero, perché hai la costante impressione di essere in vacanza.
Non voglio farla lunga, voi pensateci, quanto dobbiamo ancora sopportare?

A Dubai basta sapere l’inglese e sei pronto, i lavori umili li fanno gli Altri, quelli a cui scansionano le retina creando un file personale sul quale scriveranno ogni cosa gli riguardi, e nessuno potrà sfuggire.
Gli Altri sono pakistani, iraniani e indiani, e sono ovunque: nei cantieri ricoperti di polvere, a lavorare in centinaia in un grattacielo di 50 piani; per le strade sui taxi (dei quali non sono proprietari), girando a vuoto per la città perché fino a quando non raggiungono un target non possono rientrare. La benzina costa poco e loro vagano con gli occhi attenti ai marciapiedi, se ti vedono ti suonano… Dubai è l’unica città in cui il taxi chiama te e non il contrario!
Animano gli appartamenti durante il giorno, lavano e riordinano silenziosamente, poi scompaiono.
Oppure sono arruolati nella folle lotta di accumulare la sabbia fuori dalle strade, dai marciapiedi, lontana dai corrimano o dai cortili, l’ennesima guerra inutile: la sabbia ha truppe ben più numerose ed è dotata di una pazienza cosmica, ogni giorno organizza la sua invasione da capo.
Non esiste il lavoro in nero, perché non esistono tasse, pensione… ? informazione non pervenuta (vi saprò dire), quindi tutto in regola, prima cosa: sequestro del passaporto.
Esiste un cantiere bloccato, che non procede da anni… siamo italiani, queste cose non ci sorprendono certo, ma questo è pure peggio dei nostri mostri incompiuti, perché il proprietario, fallendo, è fuggito con i passaporti dei suoi operai e questi sono rimasti lì, come fantasmi noti a tutti, senza che nessuno se ne faccia carico, neppure il loro paese di origine.
Come sempre gli Altri sono la maggioranza e impiegano la loro vita per arricchire pochi, sono consapevoli, ma non arrabbiati, si ritengono comunque privilegiati, scelti dal destino per poter mantenere la loro famiglia nel paese natio… e quando dico “loro famiglia” intendo anche gli zii e i nonni! Sono degli eroi e la loro umiltà li rende ancora più imperiali.
Il venerdì è giornata di festa, Dubai sei ferma (tranne i centri commerciali ovviamente) e li vedi elegantissimi, impeccabili nei loro vestiti leggeri gonfiati dal vento che si muove instancabile ogni giorno in questa città; passeggiano tenendosi per mano, in due o anche tre, segno di un’affettività libera e dolce.
Uno dei loro passatempi è la lotta greco-romana che si tiene ogni venerdì verso le 16.30 vicino al mercato del pesce in un enorme spiazzo sabbioso dove si gioca a cricket su campi dai contorni invisibili, che puntualmente ho invaso senza rendermene conto se non dal fatto che all’improvviso un gruppo di persone si fermava e mi guardava, aspettando che liberassi l’area.
Non so quante donne abbiano assistito alla lotta, quel giorno ero l’unica, io ho fatto le foto a loro e loro le hanno fatte a me… la differenza è che loro mi hanno chiesto il permesso, io invece non l’ho fatto.
Gli Altri mandano avanti il mondo, in Italia gli Altri siamo noi.

Da quando sono qui non ho un impiego (io ho sempre lavorato da quando ho 18 anni) e la domanda che mi viene rivolta più spesso è: “ma cosa fai il giorno?”, all’inizio rispondevo limitandomi ad un elenco di attività più o meno variabile, ma dopo un po’ ho incominciato a ragionare: fino a che punto siamo disabituati al vivere, tanto che il fatto di non avere un lavoro indichi un vuoto?
Nella vita il lavoro è solo una cosa tra milioni di cose che si possono fare, perché non viene più spontaneo pensare che se uno ha la fortuna di non dover lavorare può fare tutto il resto?
Questo mi fa pensare alla storia del primo ristorante vegetariano di Dubrovnik, quando ha aperto la gente andava lì e chiedeva “ma cosa cucinate qui?” e le proprietarie rispondevano “tutto tranne la carne!”, allora la gente rispondeva “quindi niente!”, così quel ristorante si chiama Niente (Nishta) con un bel menù di oltre 10 pagine di un niente gustoso e nutriente.
Io sono un’Altra anomala, e presto mi ricollocherò tra le fila delle api operaie, per ora mi godo la vita e questo blog; vi chiedo scusa se questo pezzo è stato poco ironico, riparo subito con la conclusione: Dubai è quel posto in cui devi scegliere bene il bancomat dal quale ritirare, perché anziché soldi potrebbe darti lingotti d’oro!

 
Gold to go, it's easy!

 
gli Altri

     
gli Altri si vogliono bene    

      
la lotta

 
il vincitore


Coming soon:
-          Vale tutto e niente, le regole di Dubai.
-          I centri commerciali