domenica 29 aprile 2012

Tori e pescatori in Oman


Un’altra degli aspetti positivi di Dubai è che con un’oretta di macchina puoi raggiungere l’Oman.
L’Oman ha aperto i suoi confini ai visitatori solo nel 1990 e il suo cielo non è grattato da nessuna costruzione, al contrario è il cielo a lanciarsi verso il suolo coi suoi monsoni. Ciò fa dell’Oman l’unico paese della penisola arabica in cui i deserti diventano improvvisamente foreste con fiumi torrenziali che scendono a valle; lo stesso posto visitato in due momenti dell’anno differenti si mostra completamente diverso… questa è la cosa più vicina al concetto di quarta dimensione che io abbia mai conosciuto.
Per raccontarvi cos’ho visto e vissuto devo presentarvi i miei compagni di viaggio, visto che si sono rivelati ottimi colleghi tanto che durante la convivenza forzata non li ho segretamente odiati neppure per un minuto! C’è il pluridecorato socio di vita Castri, il rampante Guido con una doppia fondina ascellare dalla quale pendono due macchine fotografiche in ghisa che alterna come un giocoliere o come un fuciliere e, infine, il gattone Walter perennemente in calore con tanto di acuti miagolii intonati quanto quelli di un soprano.
Al mattino la sveglia segnava le 4e40, la nostra meta era Barka, un paesino sulla costa del nord dell’Oman che non credo veda molti turisti di solito. Siamo arrivati all’alba quando le barche dei pescatori tornano dalla loro battuta, l’intento era quello di immortalarli, ma dopo pochi scatti mi sono trovata con una cassetta di pesce in mano diretta al mercato sulla spiaggia con le sue mattonelle bianche in attesa della merce.
In tutta l’area eravamo 3 o 4 femmine, io ero l’unica sotto i 50 anni col primato di avere ginocchia e braccia scoperte e capelli al vento, ma ero perfettamente a mio agio, gli omaniti sono tutti gentilissimi, educati e sorridenti.
Anche loro vestono il Biancone, ma al posto della federa usano un cappellino ricamato in varie fantasie e, sarà che ormai mi sto abituando, sarà il loro portamento aristocratico, ma li ho trovati elegantissimi. Inoltre hanno dei bei lineamenti, qui Dolce e Gabbana sbroccherebbero.
La loro educazione è impeccabile, l’ospitalità è evidentemente sacra, nessuno ci ha sfottuti col solito “ah, Italia! Berlusconi…”.
Si sono lasciati fotografare pazientemente da noi 4 che giravamo come avvoltoi famelici tra enormi pesci lucidi e frutta e verdura matura appena uscita da una cornucopia.

Quando il sole era ormai alto, verso l’ora di pranzo, ci siamo concessi una sosta al mare appena fuori dal paese, immergendo i miei piedi nell’acqua ho guardato a destra e a sinistra: fino a perdita d’occhio eravamo gli unici umani a godere delle gioie marine.
Nel pomeriggio abbiamo raggiunto un’arena dove portano a combattere i tori… sì, hanno mucche e tori pure lì e sì, combattono, ma non pensate a nulla di crudele, i tori si limitano a spingersi con la testa l’un l’altro e vince quello che per primo costringe l’avversario a piegare le zampe anteriori.
La struttura è ampia e, nella sua circonferenza interna, riesce ad ospitare oltre 50 tori che aspettano pazientemente il loro turno tutti lustri e perfetti; il richiamo dell’evento è importante, i 3 gradini di spalti sono quasi tutti occupati dalla gente che si riversa anche nell’arena per accomodarsi sulla sabbia (miracolosamente senza sporcare i loro abiti candidi), salvo poi scattare in piedi e scappare quando uno dei tori decide che ne ha abbastanza e corre verso l’esterno perdendo l’incontro.
Io ero l’unica creatura di sesso femminile in quella bolgia festosa e sono stata trattata come un ospite d’onore, nessuno ha mai occupato il mio posto sugli spalti lasciandomi libera di andare e tornare a mio piacimento, seguita da un nugolo di bambini divertiti che ho conquistato semplicemente correndo e giocando con loro, i miei vicini di posto mi hanno offerto di tutto, da semi di girasole a misteriosi riccioli arancioni fritti e appiccicosi, che ho gentilmente rifiutato, anche se ora sono un po’ pentita.
I tori sbrigano velocemente la faccenda della lotta per accontentare gli uomini, i quali gli incitano semplicemente lanciando della sabbia sulle loro schiene, i miei compagni di viaggio si sono spinti a fotografarli tanto vicini da sentire il cozzare delle loro teste, superando la linea di confine disegnata sulla sabbia, gli unici ai quali è stato concesso di farlo. (Walter ha avuto l’ardire di fare tutto questo indossando una maglietta rosso vivace, dandoci la prova che ai tori, se non li infilzi, non li picchi e non li torturi, se ne fregano del rosso) Chi vince raddoppia il valore del suo animale, chi perde torna subito in fattoria senza rammarico, sempre a testa alta.
Verso sera quando il sole aveva trasfigurato Guido e la stanchezza reso tutti noi dei manichini di legno impolverati, ci siamo ritirati nel nostro rifugio crollando esausti e soddisfatti.

Solo il giorno dopo abbiamo avuto la fortuna di interagire con un gruppo di donne.
Sempre coperte dalla testa ai piedi ma, dimentiche del nero, le omanite preferiscono i colori sgargianti.
Girovagando per strade più o meno asfaltate, nell’attraversare un paesino senza nome, abbiamo notato un gruppo di donne sedute su una grande stuoia al riparo dal sole e subito ci siamo fermati. Non sapevamo bene come fare, fotografare le donne da queste parti può essere considerato offensivo, ma ormai eravamo lanciati e, in quanto donna, mi sono subito offerta come ambasciatrice per rompere il ghiaccio.
Una delle cose più belle di essere femmine è che questa è una condizione che non ha confini culturali o geografici, tutte le femmine se vedono altre femmine si riconoscono immediatamente e si sentono al sicuro; le femmine condividono un codice segreto che non viene insegnato perché è fisiologico quanto il respiro e che ti rende subito alleata, creando un “branco” al di là dell’appartenenza d’origine. Noi sappiamo che se una femmina straniera arriva con tre maschi stranieri, i maschi sono “a posto”, nessuno deve aver timore.
Quindi è stato questo a permetterei di sedere con loro e non i 4 biscottini al burro che ho portato in dono.
Il messaggio era chiaro, avevamo tutti una macchina fotografica, ma nessuno osava scattare o domandarne il permesso. Tra sorrisi e tentativi di comunicazione le donne omanite hanno avuto un’idea brillante: ci hanno portato i loro bambini, affidandoli alle nostre braccia lusingate.
I bambini sono magici e potenti, e questi inoltre erano bellissimi con le loro minuscoli unghie rosse di hennè, gli occhi d’inchiostro nero contornati da kajal e i capelli che profumavano di incenso, è stato tutto molto naturale, il legame era ormai stretto e le macchine fotografiche hanno incominciato a lavorare tra le loro risate e la nostra gratitudine.
Dapprincipio timide, queste donne si sono lasciate ritrarre a nostro piacimento, arrivando a cambiarsi di abito per sentirsi più belle e sicure, rimanendo sempre favolose.
Quando è arrivata una macchina della polizia fermandosi proprio davanti a noi, pensavamo che la festa fosse finita e ci siamo immobilizzati tutti (io in quel preciso istante stavo insegnando a fotografare ad una bambina di 2 o 3 anni, Mariah, che rideva a crepapelle ogni volta che vedeva il risultato del suo scatto sul display), ma alla fine il militare si è rivelato essere il figlio di una delle nostre nuove amiche che, come tutti i maschi del mondo, era andato a prendere del cibo dalla madre.
Poco dopo è arrivato Mohammed un signore con delle mani più grandi di Gianni Morandi, rubando la scena alle donne ci ha invitati a casa sua; è qui che assaggiamo l’ospitalità omanita: ci dissetiamo con della buonissima acqua piovana, del tè e mangiamo la fafaia (così si chiama la papaia qui) raccolta nel suo giardino. È difficile riuscire a riprendere il nostro viaggio, Mohammed ci vuole per pranzo, ma troviamo la forza di rifiutare e siamo di nuovo on the road fino alla famigerata Snoopy Island, un grosso scoglio battezzato così da qualcuno che evidentemente era riuscito a trovare della droga in giro.
Tuffarci in mare è stato liberatorio, eravamo tutti accaldati e stanchi io avevo i capelli come un cespuglio di paglia secca, Guido era di un colore rosso magenta, il Castri pezzato come uno dei tori del giorno prima e Walter… mah, Walter tutto sommato stava bene.
Anche in questo stato il mare ci ha accolti mostrandoci di quanta vita è capace, abbiamo terminato il nostro weekend nuotando tra pesci coloratissimi, tartarughe e giganti seppie aliene.
I 3 maschi dicono che c’era pure uno squalo, io non l’ho visto, pare che si sia allontanato nuotando sotto di me, ma avevo la testa fuori dall’acqua in quel momento e me lo sono perso… all’inizio ho pensato che fosse un tipico scherzo da maschi: “hai un ragno in testa”, “c’è uno squalo sotto di te”, ma poi ho notato le loro facce spaventate e ho ripensato al modo disperato in cui hanno urlato “c’è uno squalo!!!” e ho capito che non era una burla… mi spiace solo non aver provato anche io quel misto di eccitazione e paura che puoi avere vedendo una di queste creature fiere e bistrattate.

Se hai letto tutto fino a qui, prima di tutto: grazie, secondo significa che l’Oman è un posto che devi visitare, pensaci e fallo senza appoggiarti a viaggi organizzati, è un paese sicuro, economico e pressoché incontaminato.
L’Oman ha molte altre meraviglie che io non ho ancora visto: la via dell’incenso, la coltivazione delle rose per la produzione della famosa “acqua di rose”, un deserto pazzesco, montagne altissime, lussureggianti e lunari, un mare incontaminato dove nuotano delfini e molto altro.
Ma sono le persone a renderlo ancor più speciale, forse perché la loro curiosità nei nostri confronti è pari alla nostra, forse ancora non hanno avuto tempo di odiare il turismo, visto che è solo da pochi anni che le frontiere sono aperte, o forse è proprio la loro indole, in ogni caso per la prima volta nella mia vita mi sono sentita un’esploratrice e non una turista.              












                          

Nessun commento:

Posta un commento