giovedì 22 marzo 2012

Le case e le strade


Già chiamarle case è ridicolo, perché queste torri mastodontiche tutte schierate sulla strada o raccolte in gruppi sull’orizzonte non assomigliano alla nostra idea di casa, ai nostri disegni filiformi che facevamo da bambini.
In macchina, appena arrivata, guardavo ammutolita questi giganti verso i quali correvamo che rapivano ogni mia attenzione e non solo per la meraviglia, sentivo dentro di me un barlume di istinto animale. Questi palazzi sono così numerosi, così alti, così vicini, con mille occhi impenetrabili, da riuscire a risvegliare il cerbiatto furtivo e in allerta che c’è in ognuno di noi.
Te li senti addosso, alcuni sono talmente alti che non appaiono puntati verso il cielo, ma sembra quasi che si pieghino in tua direzione, osservandoti.
Una volta arrivati a quella che sarebbe diventata a mia abitazione (un complesso di due torri a forma di mandorla che si conficcano nel terreno come due ossi di seppia giganti) sono uscita sul terrazzino e, più che in casa, mi sentivo in un senato dal numero di finestre che mi circondavano!
Dubai è quasi come stare in un’enorme cattedrale senza tetto, con pilastri e contrafforti colossali che ti fanno sentire minuscola e ammirata.
Girando per la città osservi febbrile le forme, i disegni, torri ritorte, curve, a specchio, con dei buchi tondi nel mezzo simili allo Stargate, a forma di missile, torri gemelle uguali all’empire state building (certo se devono copiare, mica possono farne uno, devono esagerare qui)… se Nanni Moretti venisse qui con la sua vespa sbroccherebbe!
E gli interni sono curatissimi, marmi, specchi, luci, profili in legno, arredamento… tutto scelto e disegnato al dettaglio maniacalmente, ogni grattacielo col suo carattere, la sua impronta, battezzato col suo nome, quasi a farne un’entità.
Il tutto circondato da strade e svincoli come un ricamo barocco che cesella la città, innumerevoli svincoli-trappole che sei hai scelto bene sei arrivato, altrimenti ti devi sparare altri 30 km solo per ritornare alla svolta. Strade a 4 carreggiate per andamento di marcia, perché quando la benzina ti costa 20 – 25 centesimi al litro e le macchine quasi la metà che in Italia, non c’è bisogno di avere i petroldollari perché un uomo si compri un bolide e voglia sfrecciare… andare è da sfigati, scusate, qui si romba, si ruggisce (mortacci loro e benedetti doppi vetri) e si suona il claxon, aaaaah che liberazione suonare il claxon, per salutare, avvisare, offendere, partecipare, incitare, o solo per sbaglio, il claxon è lo strumento in maggior voga in questa città.
Ma c’è anche la metropolitana (esterna e sopraelevata, che metropoli sarebbe senza?) e un servizio pubblico di autobus, ma quando un taxi ti costa 2 o 3 euro, come fai a dire di no? Che in Italia solo i cardinali o quelli a cui lo rimborsa la ditta possono permettersi di prendere il taxi.
Concludendo voglio specificare una cosa: Dubai è una città in cui puoi lasciare la tua nikon reflex con mega obiettivo in bella vista nel sedile posteriore della macchina e andartene, sapendo che la ritroverai al tuo ritorno; è una città in cui lasci le finestre aperte al primo piano anche se esci di casa; è una città in cui una donna può girare serena giorno e notte da sola, anche in minigonna; è una città in cui ti senti al sicuro ovunque, una sensazione che forse non ho mai provato.

il Senato

anche il tomtom si arrende

giovedì 15 marzo 2012

I Bianconi

Diciamolo: tutti hanno un’opinione su Dubai pur non essendoci stati, c’è chi la ama e chi la detesta, io sono arrivata qui con l’animo di un’amante di boschi…
Eppure questa città disordinata, che assomiglia ad un’enorme quinta teatrale in allestimento, ha qualcosa di seducente, proverò a spiegarvelo in questo blog.
Innanzitutto colpisce il fatto che non ci sia un progetto urbanistico, neppure banale o casuale, ognuno s’è preso il suo lotto e c’ha fatto il proprio castello, soprattutto per noi italiani (con un silenzioso background di città imperiali impresso nei nostri occhi) è una cosa che si percepisce immediatamente, forse è anche per questo che i centri commerciali si sono ritrovati a sopperire una naturale esigenza umana: il ritrovo.
E credo che non sia solo spocchia infantile quella di dotarli di piste da sci, di palazzetti del ghiaccio o di acquari giganti, ma una loro soluzione ad un vero problema: mò che usciamo da ‘sti grattacieli, che famo?
Forse hanno sottovalutato il loro splendido mare, forse è colpa della loro fobia del corpo svestito, ma non sapendo cosa inventarsi hanno copiato gli hobby occidentali. (per fortuna hanno saputo dell’Acquafan di Riccione, così hanno costruito due parchi acquatici fantastici!! E presto aprirà anche un parco con giostre da far impallidire Gardaland)
Ecco sta cosa che devono esagerare in tutto, quest’indole fortemente tamarra, mi piace…e basta con ‘sta moderazione, con questa eleganza che limita gli istinti più sfrenati!

I Bianconi (© Alessandro Castriciano)
I Binaconi sono gli indigeni maschi, nessuna definizione calza meglio di questa coniata dal Castri, sono i padroni della città pur essendo la più grande minoranza della stessa, girano sciabattando in camicia da notte, sempre e solo impeccabilmente bianca. Nessuno indossa il camicione se non è perfettamente stirato e allacciato fino all’ultimo bottone, l’unica differenza sta nella federa che portano in testa, può essere bianca o di kefiah rosso, ma sempre stretta con un elasticone nero che mi agita il dubbio di quanto stringa la calotta cranica.
I Bianconi hanno tutte le età, ma difficilmente superano i 60, mi chiedo dove siano gli anziani di questo posto, i Bianconi non hanno fretta, guardano lontano un niente dando l’impressione di pensare a qualcosa di grave. Puoi osservare i bianconi in due pose: con cellulare e senza cellulare, ma non parlano sguaiati come la russa che a volte ti si siede affianco in metro.
I Bianconi hanno un segreto che non vogliono rivelare: si annoiano.
Sarà per questo che non li vedi camminare, ma buttare un piede avanti all’altro, indossando ciabattoni che farebbero invidia ad un pensionato tedesco… e non so come fanno, ma sia uomini che donne non calzano la loro ciabatta fino in fondo, riescono sempre a tenere l’ultima parte del tallone in sospensione sul suolo.
A loro comunque va ancora bene, la camicia da notte ufficiale della squadra femminile è nera, e credo sia un handicap riservato alla squadra più forte per rendere il gioco più equilibrato. Adesso è inverno, sono in piscina e se non mi bagno ogni 20 minuti mi sciolgo abbandonando per sempre questo mondo.
Alla squadra femminile però è concessa qualche frivolezza, è negli orli che una donna può esprimere la sua personalità: arricciati, a balze, ricamati, con paillettes o semplici per una giornata minimale.
Underwear:
Nessuno si è spogliato davanti al mio cospetto, posso parlarvi di questo solo per due motivi: sono un’osservatrice (con tanto di brevetto dei boy scout) e poi si sa, è proprio una legge della fisica: il bianco è trasparente, sia bagnato che asciutto.
I Bianconi sotto indossano intimo bianco, una t-shirt che cade sopra alla mutanda, o una canotta incalzata, per fortuna sono tutti accessoriati di panza, questa funge da tettoia lasciando cadere il camicione ben distante dalle pudenda. Delle donne posso dirvi solo che ogni tanto si apre uno spacco, e quando succede si vedono pantaloni di cotone o jeans, se hanno gonne e tacchi (mai meno di 12 cm, l’esagerazione è un imperativo nazionale) non si apre proprio un cappero.
I Bianconi quando girano in branco sembrano fantasmi bonaccioni e non puoi non guardarli, ti senti una falena perché di giorno riflettono una luce abbagliante, ma ti è impossibile distogliere lo sguardo.
A volte puoi vedere un Biancone in borghese, ma difficilmente una donna abbandonerà la divisa ufficiale, è una questione di orgoglio.

Coming soon:
- Le case e le strade
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