martedì 21 marzo 2017

Dell'essere ricoverati in un ospedale privato a Dubai. Un nuova avventura castricianense.

Un giorno Ale tornò a casa dicendomi di non sentirsi bene, aveva la faccia sbattuta, così si sdraiò a letto rabbrividendo e provò la febbre speranzoso. Speranzoso perché comunque non si sentiva poi così male e la febbre spesso è più l’occasione per riposarsi e farsi coccolare che una vera sofferenza, è per questo che i maschi fanno tante tragedie quando hanno 37 e mezzo, perché desiderano tornare bambini con un alibi valido, se dopo i 37 è ufficialmente febbre, allora l’alibi è approvato per legge.
Purtroppo per lui il giorno dopo era già sfebbrato, la guarigione lavora lesta e la pacchia sembrava finita, e invece no: la febbre saliva e scendeva senza seguire i normale andamento sera/alta e mattino/bassa, ricordano le parole di mia madre sospettai una polmonite e dissi al Castri che questa volta avrei deposto lo scettro del comando come imperatrice del suo corpo e che era il caso si affidasse ad un medico.
Avremmo inaugurato l’assicurazione medica mai utilizzata, non sapevamo neppure bene dove andare, così ci fermammo nell’ospedale più vicino a casa provvisto di pronto soccorso.
Entrammo seguendo le indicazione “emergency”, all’ingresso vedemmo un bancomat e una caffetteria solo dopo l’accettazione.
Io sono una grande frequentatrice di ospedali, sono caduta svariate volte abbastanza rovinosamente perché mi fossero messi punti o fatti esami alla testa; ho fatto l’appendicite; sono stata ingessata ad ambo due le gambe (in tempi diversi); steccata più dita delle mani; ferita un occhio col pennino mentre disegnavo i complicati reticoli di una foglia con la china; ho fratturato un osso del gomito, ma niente gesso, solo un tutore; una volta ci sono finita pure in ambulanza perché intossicata da qualcosa in piscina mentre ci allenavamo per delle gare, insomma mia madre diceva di avere l’abbonamento, quindi credo di avere una discreta esperienza in materia.

Appena entrati ci rivolgemmo all’accettazione descrivendo il disturbo di Ale, così si fa in un pronto soccorso: entri e descrivi il tuo malanno all’accettazione… no no baby, benvenuto nel fantastico mondo della sanità privata.
Prima di tutto dammi un documento e te lo chiedo senza togliere gli occhi dal mio schermo Sir, la prima persona con la quale parlerai al pronto soccorso non è un medico, ne un infermiere e neppure un pranoterapista, ma un tizio in giacca e cravatta strappato da un ufficio che manco vuole sapere che cos’hai, ti interrompe, vuole prima la tua tessera dell’assicurazione poi, solo dopo aver inserito i tuoi dati, ti chiede cos’hai, ma solo per verificare che la tua assicurazione copra quel determinato disturbo.
Ok, noi non avevamo un’urgenza, e non so come funzioni se arrivi in ambulanza con un’urgenza vera, ma mentre ero seduta in attesa ho visto arrivare due uomini che ne reggevano un terzo ferito ad un piede, che sanguinava e che era stato fasciato di fretta con qualcosa di rimediato. Pure a lui è stata fatta tutta la manfrina alla non ci resta che piangere (alt, chi siete, dove andate, un fiorino), e qualcosa dev’essere andato storto perché, sebbene ben vestiti e in possesso di un qualche tesserino, i due uomini si sono dovuti ricaricare l’amico sulle spalle e andarsene, col piede insanguinato e la faccia sconsolata.
Io ho assistito alla scena inorridita dall’alto della mia esperienza con la martoriata, eroica, vessata, depredata ed amatissima sanità italiana. Sì, era solo un taglio al piede, non era in pericolo di vita, e mi hanno detto che a Dubai esiste un ospedale pubblico gratuito, non so come sia e di certo lì lo avranno ricucito, ma vedere la scena dal vivo, le espressioni sui volti essendo nella stessa situazione, ti fa accapponare la pelle, ti fa vergognare della fortuna che hai, ti fa sentire come in un episodio di Black Mirror.
La sanità privata è in contraddizione con concetti come civiltà, cultura o evoluzione, se non possiamo cucire il piede di un uomo il progresso che crediamo di aver conquistato è solo una chimera.

Nel frattempo l’assicurazione aveva riconosciuto Ale e d’incanto era apparsa un’infermiera con una sedia a rotelle, mentre un secondo prima poteva morire lì, adesso non poteva più neppure fare un passo con le proprie gambe. Il Castri era ancora vergine in fatto di ospedali, non era mai stato al pronto soccorso, aveva solo una febbre ballerina, anche se era arrivata a 39 e passa non se la sentiva di farsi portare in giro in carrozzina, quindi rifiutò sorridendo, così come quando si fanno i complimenti di fronte alla zia che ti offre il secondo piatto di lasagne.
L’infermiera gentile sorrise, quasi scusandosi, replicando che non era possibile, Alessandro DOVEVA sedersi. Il Castri allora le assicurò che poteva benissimo camminare, del resto non era lì in piedi di fronte a lei in quel momento? Ma no, per questioni legate alla sua sicurezza doveva sedersi, non poteva deambulare da solo, di fronte alla risolutezza dell’infermiera Alessandro si sedette, ma più per evitare discussioni, per farle un favore.
Ecco, da quel momento scattò qualcosa, fu come un passaggio di consegne: quel corpo non apparteneva più a me o al Castri, quel corpo ora era loro.
Dopo non più di 8 metri l’infermiera fermò la sedia a rotelle di fronte ad una stanza con un lettino sempre all’interno del pronto soccorso e fece accomodare Alessandro, tutta ‘sta sceneggiata sulla sicurezza, e siedi, e dai no, mi vergogno, siedi ti dico! Eenno dai! Va bene… per fare neppure 10 passi?!
Io ancora non avevo chiaro il quadro della situazione, mi stupivo solo del repentino cambio di atteggiamento da prima a dopo il controllo dell’assicurazione, dalla freddezza inumana alla solerzia esagerata.
Poco dopo portarono Ale a fare i raggi, in minuti arrivò il risultato: polmonite. (questa è la prova uomini: le vostre mogli sanno sempre tutto prima di tutti)
Voi direte: veloci capperi, però le cose funzionano con un’altra marcia nella sanità privata!
Signori, la marcia è davvero un’altra perché nonostante la diagnosi noi non avevamo ancora visto un medico, ma solo paramedici, e ora ricominciava la fase “si ma i soldi li hai?” perché si doveva capire se l’assicurazione avrebbe coperto la cura quindi, se per la diagnosi sono serviti massimo 20 minuti dalla sedia a rotelle al responso, per l’approvazione dell’assicurazione sono passate 2 ore vere, col povero Castri tremebondo di febbre sdraiato in un letto senza niente per coprirsi; ho dovuto chiedere io se potevano portargli una coperta e sono arrivati con un lenzuolo.

[Sebbene Ale mi abbia dato il permesso, il mio senso di protezione da mamma orsa mi ha impedito di mostrare il volto della sofferenza, ma in quella col lenzuolo aveva uno sguardo che non poteva rimanere nascosto, era lo sguardo de La Febbra.]

Quando finalmente ci comunicarono l’approvazione dell’assicurazione, spostarono il malato nella sua camera, una singola con frigorifero, divano, poltrone, wifi e bagno privato.



Questa stanza è senz’altro molto meglio di quelle della sanità pubblica, lo ammetto, come è bello il fatto che non esistano orari di visita, tu puoi passare col degente tutto il tempo che vuoi, in quanti volete, il divano è lì apposta.
Questo però mi è costato il fatto di essere ricoverata insieme al Castri, dopo una lunga contrattazione sono riuscita giusto a spuntare il fatto di andare a casa a dormire, deo gratias.
Quindi ho passato una settimana con Alessandro, per vederlo mangiare e fare flebo con antibiotico e paracetamolo, a litri, crepi l’avarizia! Tutto qui, qualcosa che poteva fare benissimo a casa nel suo letto, certo doveva prendere le medicina per bocca, ma così l'assicurazione non avrebbe pagato 400 euro al giorno.
Quelli però non sapevano con chi avevano a che fare, il Castri infatti prese il suo ruolo di malato molto seriamente, innanzi tutto decise di tenere con sé il termometro, per provarsi la febbre ogni mezz’ora e mandava me ogni volta che superava i 38 e mezzo ad avvisare, questo dopo che aveva notato un certo lassismo nel rispondere quando suonava il suo campanello; gli infermieri, più pazienti di Giobbe, avevano capito che Alessandro non conosceva la storia di Pierino che gridava “al lupo, al lupo”.
Inoltre chiese di parlare col nutrizionista, responsabile dei menù, perché in effetti portare piselli ad un fabico non è carino, anche se sei già in ospedale, inoltre sosteneva che un malato necessita di frutta e verdura cruda per agevolare la guarigione, non di carote e cavolfiori bolliti, così come di cibo più semplice e nutriente come del pesce grigliato, senza troppe spezie e condimenti difficili da digerire, come il shawarma di montone che gli avevano servito poco prima. La dottoressa prendeva i suoi appunti scusandosi, dal canto mio non confessai di aver scelto io il shawarma per Ale, pensando di fargli cosa gradita, visto che ne è ghiotto, ero troppo commossa e orgogliosa per la faccenda delle verdure e del pesce grigliato.
[ogni giorno un’inserviente ti porta un menù con diverse scelte da spuntare per colazione (uova, cereali, frutta, succo, pane tostate e marmellata, yogurt, ecc.), per pranzo (carne, riso, verdure, yogurt, frutta, ecc.) e cena (vedi pranzo), tu spunti ciò che vuoi e te lo portano il giorno dopo. Questo è un altro aspetto positivo della sanità privata, anche se poi hai detto a tutti che sei fabico e ti servono piselli come verdura]
Il giorno dopo Alessandro ebbe insalata fresca e un filetto di pesce grigliato immerso in una succulenta salsa all’aglio...

Quando, verso le 23, tornavo a casa e mentre cucinavo la mia cena, il Castri non resisteva e mi chiamava su skype e questa era la scena che avevo di fronte:



Un santo che faceva spugnature fresche per alleviare le sudate da competizione che gli sbalzi di febbre causavano ad Ale, erano i momenti in cui ringraziavo la sanità privata, altrimenti sarebbero toccate a me, il Castri non può sudare per conto suo come tutti gli altri, deve farti partecipare.
Insomma Alessandro s’era fatto conoscere anche lì, una cosa che mi fece impressione era  l’estrema gentilezza di tutto il personale, dal dottore alla signora delle pulizie il paziente è trattato come un cliente da soddisfare, per noi che siamo abituati a rincorrere i dottori nei corridoi e a farci trattare sempre un po’ male, un po’ di gentilezza e disponibilità furono una bella sorpresa.

Al secondo giorno quando arrivai trovai questo sulla porta della stanza:


Mi misi la mascherina un po’ preoccupata pensando che avessero trovato qualcosa nel ceppo del virus che aveva colpito Alessandro, ma il giorno dopo, quando vidi che i dottori in visita non l’indossavano per la seconda volta, la tolsi e iniziai a pensare che ci fosse una precisa volontà nel farlo sentire malato e bisognoso.
Al terzo giorno mi lamentai del fatto che non facessero niente oltre alle flebo di antibiotico, Ale fece sue queste parole coi dottori in visita, questi prescrissero un’altra radiografia al torace per accontentarlo, io mi morsi la lingua.
Al quarto giorno la febbre non passava, quindi cambiarono antibiotico e continuarono con le taniche di paracetamolo.
Al quinto giorno verso sera ci fu l’atteso miglioramento, la febbre rimase sotto ai 37 gradi, ridussero le dosi di paracetamolo sostituendolo con della fisiologica per idratarlo, quel poveretto doveva girare sempre col suo bastone da flebo e la camicia da notte, mi sembrava Gandalf il bianco.
Al sesto giorno era completamente sfebbrato, io fui contenta perché pensavo di poterlo portare a casa, del resto non rischiava certo di prendere freddo uscendo, visto che era un tipico giugno dubaiano coi suoi 40 gradi, e per idratarlo avevo un piano: farlo bere, ma i dottori dissero: domani, se anche domani non hai febbre vai a casa.
Al settimo giorno dissero: domani, oggi è venerdì ed è festa.

Ale sfebbrato, senza flebo, sequestrato in ospedale che lavora.

All’ottavo giorno andai all’ospedale agguerrita, avevo ormai capito che non lo avrebbero fatto uscire mai più, quello non era un ospedale, ma una qualche setta malefica che voleva tenersi il corpicione del Castri per chissà quali scopi. Avevo deciso che me lo sarei riportato a casa quel giorno, a costo di combattere. Feci colazione in silenzio, preparandomi allo scontro, entrai nella sua camera più risoluta che mai e dissi: “prendi le tue cose che oggi usciamo da qua, vivi o morti.”
Grazie al cielo Ale era lì seduto sul bordo del letto con affianco la sua valigina, pronto ad uscire, mi guardò con aria interrogativa, non dovetti combattere, ma tenni stretta la sua mano mentre camminavamo veloci verso l’uscita.

Promisi a me stessa che non ci avrebbero rivisti mai più, ma me ne scordai due anni dopo, quando eravamo al parco, Ale col suo skateboard e io col mio monopattino, correvamo felici come bambini fino a che il Castri non cadde con tutto il corpicione sul polso sinistro.
Quando si rialzò aveva il braccio un po’ a zig-zag, io gli dissi di tenere duro fino in ospedale mentre gli steccai il polso usando il mio cellulare (samsung galaxy MEGA, non a caso si chiama mega, è grande come una piastrella e in quest’occasione dimostrò una volta di più il suo valore) e la sua kefiah, lui non emise un fiato e guidò fino all’ospedale.
La mia steccatura improvvisata fu l’unico conforto che ebbe, per ore e ore, anche dopo raggi e risonanza magnetica, anche dopo che furono diagnosticate 5 fratture e ossa scomposte e la prospettiva di un intervento con viti e fascette in titanio, questo fino a quando finalmente non arrivò l’approvazione dell’assicurazione ovviamente.

Again
Alcuni appunti del chirurgo poco prima dell’operazione

[Per chi se lo domandasse lasciarono libero il Castri dopo solo 2 giorni dall'operazione, anche se da allora ci furono molte visite di controllo e radiografie con cadenza settimanale per un totale di 6, più una risonanza magnetica, tutto in un mese e mezzo, ma forse il loro numero aumenterà, ha da poco iniziato la fisioterapia.

E per chi pensa che io sia un’utopista e che la sanità pubblica sia da abolire perché non funziona sappia che per tutta la strada dal parco all’ospedale, eravamo preoccupati non tanto dal braccio, ma da cosa dire in accettazione quando ci avrebbero chiesto come era caduto… l’assicurazione avrebbe coperto lo skateboard? Nel caso, come potevamo altrimenti giustificare un danno del genere? Questi non sono proprio i primi pensieri che ci sarebbero venuti in mente in Italia.]



martedì 7 marzo 2017

FAQ about Dubai, 10 domande tipiche che mi rivolgono da anni

Come scrissi nel mio primo post: tutti hanno un’idea di Dubai, pur non essendoci mai stati e non avendo mai approfondito neppure su wikipedia. In questi anni me ne rendo sempre più conto soprattutto quando torno a casa e incontro qualche conoscente, dopo i saluti e i convenevoli arrivano in ordine sparso quasi sempre un certo tipo di domande, quindi ho pensato che magari poteva essere utile riunirle qui e dare le risposte una volta per tutte.
Questo non tanto per me, per evitare di annoiarmi troppo nel ripetere sempre le stesse cose, ma per voi, per evitarvi figuracce come quell’americano seduto accanto a me nell’ultimo volo di rientro a Dubai al quale dissi che assomigliava a Van Gogh e non lo conosceva… ok… sono rimasta stupita, ma posso anche giustificare una lacuna così, però quando mi chiedi quale sia il mio idioma e ti rispondo “italian”, tu non puoi dirmi “ah! Vieni dalla Francia!” 
[10 secondi di silenzio per le università americane, sì, era laureato ed un esperto di security che andava ad offrire la sua consulenza non so in quale paese, Dubai era solo uno scalo]
Quindi considero questo post come un servizio pubblico. Mi scuso per coloro che mi parlano o leggono abitualmente se queste cose le hanno già sentite, comunque le ho sentite più io, sappiatelo. 

La numero 1 in assoluto, vincitrice di molti premi come “Luogo comune sempre affollato” o il “Premio Simpatia Matteo Salvini” è: ma tu devi mettere il burka?

Risposta: NO, enne oooo. 
Nessuno lo deve mettere, non tutti i paesi arabi sono l’Arabia Saudita, è un po’ come dire, che in Inghilterra ci sono i bidet solo perché è Europa, o che io sono francese perché parlo italiano.
A questo punto però so che un NO non basta, non ne capisco il motivo, ma so per esperienza che non basta mai, nessuno si arrende al “no, non devo indossare il burka”, ci rimangono un po’ male, perché con aria delusa mi chiedono: “ma il velo si, giusto?”.
SBAGLIATO. Non ci si deve coprire la testa o il viso se non si vuole farlo, questo riguarda me come riguarda le indigene, ho osservato che la maggior parte di loro vogliono farlo, per loro è sinonimo di eleganza e signorilità, non lo fanno solo perché il corano indica di coprire il capo.
A questo punto qualcuno si arrende, evidentemente scontento, allora io per rincuorarlo aggiungo qualcosa di fortemente esotico tipo “la benzina costa 30 centesimi al litro!” o “i maschi vanno in giro con la gonna”, solo così si consola il poverino facendosi una sua risata con un’espressione vagamente sollevata.
#1 Ricapitolando: come posso vestirmi a Dubai?
Risposta: come vuoi nei limiti della decenza, minigonne ok, topless no.

La seconda domanda più gettonata rivela una certa ansia di cui dovremmo prendere atto prima o poi. "Ma a Dubai si possono bere alcolici?"

Risposta: sì, tranqui.
Gli alcolici non sono immediatamente reperibili come in molti altri paesi, ma non devi faticare per trovarne.
Vi dico che io, femmina, vado a bere alcolici gratis ogni volta che lo desidero, e spesso indosso scollature generose o gonne succinte o anche in jeans e… state ancora pensando a “gratis” vero?
Si non pago una svanzica, nada, e questo non perché io abbia particolari privilegi se non quello di essere femmina, ma perché a Dubai esiste la Ladies Night, una sera a settimana, a discrezione del locale, le femmine possono bere da 1 a 5 drinks (ma pure di più in certi posti) e mangiare con sconti che variano dal 30 al 50% se lo desiderano.
#2 Domanda: a Dubai si trovano gli alcolici?
Risposta: sì, quando arrivate potete liberamente comprarne al duty free all’aeroporto e portarveli a casa/hotel; li troverete anche in numerosi ristoranti e locali e, se siete femmine, potrete bere gratis alle ladies night varie (fate una ricerca su internet per verificare dove e quando) vestendovi come vi pare. 

Altra domanda incessante riguarda il maiale. Ho capito bene che ci tenete al salame e vorrei rassicurarvi che esistono molti supermercati con un’area, sparata, ma segnalata, dove potrete riempire il carrello di prosciutto e salsicce.




#3 Domanda: a Dubai posso trovare prosciutti e salami?
Risposta: sì. 

Subito dopo questa, normalmente mi viene sparata un’altra domanda tipica che io trovo pazzesca: “dove vai a fare la spesa a Dubai?”

Vi garantisco che mi viene posta molto più spesso di quante immaginate, io davvero non so come nella testa di alcuni alberghi il pensiero di una città piena di grattacieli, ma allo stesso tempo di una città dove per comprare da mangiare io debba andare al souk dove vendono capre vive e radici polverose di terra.
#4 Domanda: dove vai a fare la spesa a Dubai?
Risposta: al Carrefour, o al Geant, o in altri supermercati dove sì, credetemi, trovo la mozzarella di bufala, il caffè Lavazza, la pasta Rummo o  il Parmigiano Reggiano. I prodotti di cibo italiani sono numerosissimi nei vai supermercati, soprattutto quelli biologici, c’è pure una sorta di Natura Sì, che qui si chiama Organic, anzi adesso è pure Biodynamic, dove si possono comprare persino gli stracci della polvere in cotone biologico anallergico tinto con colori naturali o il succo di baobab bio. (il terzo weekend del mese applica lo sconto del 20% su tutti i prodotti) 

#5 Finite le ansie culinarie è il momento di altre domande favolose tipo: “ma lì cosa fate?

Ecco io ho sempre un momento sgomento quando mi viene posta, perché non capisco bene cosa voglia dire questo “cosa fate”, arriva in un punto della conversazione in cui è chiaro che non si riferisce al lavoro, ma alle attività di svago, e io mi domando se a quelli che vivono a Berlino la fate sta domanda…
Non ho mai osato approfondire e di solito la mia mente incomincia ad elaborare di come immaginino queste persone la mia vita qui, forse credono che faccia le mie passeggiate al mercato delle bianche o che organizzi i miei picnic nei pressi di un pozzo di petrolio; poi ho capito che vogliono ancora un po’ di esotico folclore, quindi mi spiace sempre dover rispondere con cose banali tipo: andiamo al mare; visitiamo fiere d’arte e design; facciamo escursioni nel deserto o nelle montagne a nord del paese; saltuariamente andiamo a ballare o a berci una birra; andiamo a concerti o al mercatino delle pulci; pattiniamo sulle lunghissime piste ciclabili, insomma a Dubai si fa tutto quello che si può fare in una città qualsiasi, più qualcosina di particolare come andare alla corsa dei cammelli. [per info clicca qui]

#6 Altra domanda tipica: a Dubai se sgarri ti tagliano una mano?

La sicurezza a Dubai è più una cosa di cui si gode piuttosto che qualcosa da temere, l’ho detto tante volte, ma se non sei un serial killer o un borsaiolo, vieni sereno a Dubai.
Esempio di trasgressione a cui ho assistito: eravamo in macchina con Ale e i miei genitori, stavamo andando al mare, Alessandro ad un certo punto vede un bel parcheggio che si libera alle nostre spalle, fa una manovra ardita precorrendo un pezzettino di strada contromano, ma proprio lì c’era una macchina della polizia che subito ci ferma.
Prima che il poliziotto apra bocca Ale inizia subito con la sua micidiale arma: la favella, il poliziotto fa sì con la testa, ma ha dipinta in faccia un’espressione del tipo “parla quanto vuoi ma ho qui una bella multa con scritto il tuo nome”.
PZZZZZZZZZZZZZZZZZZ, sento il suono del finestrino elettrico posteriore che si abbassa, è mio padre che vuole vedere bene un agente dell’ordine straniero all’opera, i vetri della macchina sono oscurati, quindi abbassa il vetro e si affaccia con il suo cappellino di Pensionati per la città e l’adorabile espressione asimmetrica che un ictus gli ha regalato tanti anni fa.
Il poliziotto smette di parlare guardando mio padre intenerito, il Casti approfitta immediatamente del momento e dice “sto portando i miei genitori al mare…” facendo la faccia del gatto con gli stivali di Shrek. 
Ecco che la famigerata severità delle forze dell’ordine emiratine si palesa, la famiglia qui è qualcosa di davvero sacro, quindi il poliziotto non può fare altro che ammonire Alessandro lasciandoci andare, certo non prima di aver salutato mio padre con un sorriso.
La volta precedente, non ricordo bene che tipo di infrazione avevamo commesso, ma eravamo soli io e lui e la multa è stata fatta regolarmente. 

Altro preconcetto tipico riguarda il denaro e i costi. Dubai la si immagina una città in cui le case hanno i rubinetti d’oro, sì, senz’altro sarà così, ma credo sia una questione che riguarda l’1% delle abitazioni.

#7 Dubai è cara?
Risposta, personalmente ritengo che Dubai sia nella norma con alcune eccezioni.
Alcuni esempi ad estremi opposti:
pane ai cereali con semi di girasole e zucca: 4.50 euro al kg
birra media alla spina in un locale medio: 10 euro
biglietto metropolitana: dipende dalla lunghezza della tratta, da minimo 1 euro a massimo 2,10 euro.
Taxi, benzina moooooooolto meno, se si è in due o più può risultare  più conveniente prendere il taxi che i mezzi pubblici.
Lattuga e internet a casa: molto di più, la lattuga costa 4 euro un cespo piccolo, mentre l’abbonamento a internet a casa costa circa 90 euro, anche se compreso hai canali televisivi da tutto il mondo, di cui 3 italiani. 
Quando venne qui mio padre si impuntò nell’impresa di scorrerli tutti, dopo canali di fitness  coreano e il Nathional Geographic in farsi trovò Euronews, quindi i canali in italiano ora so che sono 4. 

Ma mi vengono poste anche domande sensate eh, tipo:#8 In che periodo dell’anno è meglio visitare Dubai?

Risposta: a Dubai si vive un’eterna estate con picchi di caldo che arriva a 50° e di freddo che scende a 14°.
Gennaio e febbraio: sono i mesi in cui è più probabile che piova, di sera ci vuole una felpa o un maglioncino, ma di giorno il sole scalda e si raggiungono mediamente dai 24° ai 28° nelle ore più calde. Il mare è freddino per la norma, perché è solo 21° circa, ma ci si abbronza.
Tra marzo e aprile è un periodo fantastico, le giornate sono calde e le sere sono fresche, si parla di una massima di 33° mediamente e di una minima di 26° circa. L’umidità e l’afa non si sono ancora affacciate e la temperatura del mare è di circa 24°.
Maggio è un mese random, può essere meraviglioso come aprile solo leggermente più caldo o può anticipare l’estate terribile che arriva in giugno. Quindi le temperature si alzano con massime di 38/40° e minime di 33° circa. Il mare è stupendo però, coi suoi 29°.
Giugno, luglio, agosto e settembre non sono mesi per tutti, l’umidità marina rende tutto soffocante, il caldo è serio, le massime in agosto arrivano a 50°, ma negli altri mesi si rimane sui 40/45°, ho visto minime notturne di agosto a 47°, negli altri mesi si raggiungono i 37/40°. Il mare va dai 32° di giugno ai 35° di agosto e settembre.
Ottobre e novembre sono altre due mesi ideali per godersi Dubai, l’afa viene spazzata via da arietta gentile e respirabile, il caldo è piacevole sia di giorno che di sera. Il mare ancora una delizia con i suoi 29/30°.
Dicembre è un mese di passaggio, le temperature calano a 33° di massima fino a 25° di minima notturna, il mare è sui 25°, si va in spiaggia tranquillamente.
Quindi fate le vostre valutazioni e cercate di organizzare la vostra visita nel periodo che più vi aggrada.
Comunque non è vero che il caldone di qui lo si può sopportare solo se ci nasci in questo paese, noi alla fine ci siamo adattati e viviamo la città anche in agosto, ma anche i genitori di Alessandro, quando vengono a trovarci, se ne stanno tranquilli in spiaggia con 47° all’ombra senza cappello, ma loro sono siciliani, gente abituata a sole e vulcani.
Anche se una volta, non ricordo se era luglio o agosto, stavamo venendo via dalla spiaggia verso l’ora di pranzo, ci siamo fermati a fare la doccia prima di cercare di vestirci (indossare indumenti in questo periodo è un’acrobazia in bilico nell’unico attimo in cui puoi essere vagamente asciutta, tra l’asciugarsi dopo la doccia e l’iniziare a sudare) così, nel tentativo di srotolare la canottiera appiccicata alla schiena, abbiamo notato una coppia di italiani che alternava momenti di grande entusiasmo a momenti di mollezza catatonica, indovinate in quale istante scattavano i loro selfie?
Ovviamente abbiamo attaccato bottone, erano una coppia partenopea che aveva approfittato dell’offerta di un’agenzia di viaggi e non aveva la minima idea di quanto avrebbe scontato quello sconto. 
Quando hanno detto lamentandosi “ma noi ci aspettavamo che fosse una città dove si può camminare, ad aprile siamo stati a Parigi e ce la siamo girata tutta a piedi!”, noi ci siamo guardati negli occhi senza riuscire a replicare, troppe erano le cose da dire… la loro considerazione era scaturita perché ci avevano chiesto in che direzione fosse la Vela (Burj Al Arab), i poveretti volevano andarci a piedi…
Da lì erano oltre 5 km, a piedi, ad luglio, a Dubai, all’ora di pranzo… io vi dico che per raggiungere la macchina si deve andare lentamente, perché gira un po' la testa, se non hai il cappello senti fisicamente il tocco del sole sulla sommità del cranio e non ha la mano leggere il sole.

La #9 più che una domanda è un’affermazione: a Dubai non c’è la natura.

Abbiamo tutti fatto le elementari, sappiamo che ci sono differenti ecosistemi nel mondo, quindi la natura c’è solo che è diversa dalla nostra lussureggiante in Europa.
Quella di Dubai è un deserto ricco di bassi arbusti spinosi, sovente si vedono anche alberi le cui radici a volte vengono scoperte dalle imperiose mani del vento sulla sabbia, rivelando così architetture segrete. 
Ci sono diversi tipi di alberi, alcuni assomigliano a polverosi salici piangenti, altri a ombrelli aperti, ma ne ho visti alcuni dal fusto alto e le foglie verdi e carnose.
Ci sono anche dei fiori che crescono nella sabbia, hanno foglie rotonde e ampie e corolle con  petali appuntiti che vengono considerati doppiamente sacri, sia per l’eroicità di fiorire in un deserto, sia perché rappresentano simbolicamente i 5 pilastri dell’islam, uno per ogni petalo.



E ci sono volpi, gatti selvatici, gazzelle, oryx, lucertole e scarabei. La meraviglia del deserto è che anche se durante il giorno hai patito i 50°, la sera diventa freschino, l’escursione termica dona un sollievo di cui in città non godi minimamente.


Come #10 e ultima ho tenuto un altro luogo comune: a Dubai i soldi te li portano con la carriola.

Nel primo decennio degli anni duemila pensare che esistano posti dove fai il normale e ti coprono di soldi è romantico come le cartoline di fine 800 che mostravano alberi carichi di monete, descrivendoli come flora autoctona tipica delle Americhe. 
La cosa vera è che a Dubai magari è più semplice trovare lavoro se sei professionalmente specializzato, come è favolosamente vero che qui vige la meritocrazia piuttosto che il nepotismo. Così come è vero che mettersi in proprio qui è molto più semplice ed economico che in Italia, senza parlare delle tasse.
Ma nessuno ti da niente per niente, da nessuna parte. Devi essere bravo, devi avere le idee giuste, devi essere un passo avanti agli altri, dare di più, in Italia neppure questo basta, qui si. 
Per noi abituati a stare in un angolo e vedere andare male tutto, noi che quando poi abbiamo espresso le nostre idee e soluzioni le abbiamo viste derise o  rubate; per noi che mai uno straordinario è stato pagato e anzi, lo stipendio sembrava quasi una regalia immeritata, ecco, noi formati in questo campo di battaglia qui, ce la sbraniamo la concorrenza dubaiana.
Ma dovete venire qui, dovete farlo 'sto salto nel buio, lo specifico perché in tanti mi hanno scritto in questi anni chiedendomi: non è che mi trovi clienti per il mio prodotto? Dovresti verificare le questioni di compatibilità tecnologica, non so se la presa elettrica funziona pure lì, poi cercare clienti, poi fissi degli appuntamenti, poi chiaramente arrivo io a chiudere l’affare e ti do una percentuale che decideremo.
Ah belloOh!!!! Anche ammesso che lavori gratis per te un paio di mesi cercando il modo di farti guadagnare mentre stai tranquillo a casa tua con la tua famiglia, poi come pensi di portarteli i tuoi prodotti in questo paese? Te li trascini nel trolley da aeroporto ad aeroporto?
Oppure è successo che si stia a parlare tutta la sera della crisi di lavoro in Italia, che ascolti i lamenti mischiati a “vi invidio, magari potessi farlo anche io”, poi [vi giuro è successo più di una volta] gli proponi un lavoro e subito l’atteggiamento muta in un: voglio compenso raddoppiato, vitto, alloggio, volo una volta al mese di rientro, capisci… ho qui il corso di panificazione e ci tengo a non mollarlo… anzi guarda, vanno bene solo i soldi, ma sto a casa, che io sono uno che lavora bene nella sua stanzetta… parliamo su skype! Che problema c’è, il fuso orario non è un problema dai…
Ah belloOh!!! Tutti quanti vorremmo stare in Italia, guadagnare come a Dubai, avere un inverno come alle Maldive, bersi un caffè nei coffeeshop di Amsterdam, avere la botte piena e la moglie ubriaca!
Allora stai a casa a praticare la lamentatio, oppure rifletti sulla tua condizione e comprendi che in fondo non stai così male, che forse sei fortunato e felice dopotutto, le strade sono due: o muovi il culo o ti godi ciò che hai.
[scusate lo sfogo]