martedì 21 marzo 2017

Dell'essere ricoverati in un ospedale privato a Dubai. Un nuova avventura castricianense.

Un giorno Ale tornò a casa dicendomi di non sentirsi bene, aveva la faccia sbattuta, così si sdraiò a letto rabbrividendo e provò la febbre speranzoso. Speranzoso perché comunque non si sentiva poi così male e la febbre spesso è più l’occasione per riposarsi e farsi coccolare che una vera sofferenza, è per questo che i maschi fanno tante tragedie quando hanno 37 e mezzo, perché desiderano tornare bambini con un alibi valido, se dopo i 37 è ufficialmente febbre, allora l’alibi è approvato per legge.
Purtroppo per lui il giorno dopo era già sfebbrato, la guarigione lavora lesta e la pacchia sembrava finita, e invece no: la febbre saliva e scendeva senza seguire i normale andamento sera/alta e mattino/bassa, ricordano le parole di mia madre sospettai una polmonite e dissi al Castri che questa volta avrei deposto lo scettro del comando come imperatrice del suo corpo e che era il caso si affidasse ad un medico.
Avremmo inaugurato l’assicurazione medica mai utilizzata, non sapevamo neppure bene dove andare, così ci fermammo nell’ospedale più vicino a casa provvisto di pronto soccorso.
Entrammo seguendo le indicazione “emergency”, all’ingresso vedemmo un bancomat e una caffetteria solo dopo l’accettazione.
Io sono una grande frequentatrice di ospedali, sono caduta svariate volte abbastanza rovinosamente perché mi fossero messi punti o fatti esami alla testa; ho fatto l’appendicite; sono stata ingessata ad ambo due le gambe (in tempi diversi); steccata più dita delle mani; ferita un occhio col pennino mentre disegnavo i complicati reticoli di una foglia con la china; ho fratturato un osso del gomito, ma niente gesso, solo un tutore; una volta ci sono finita pure in ambulanza perché intossicata da qualcosa in piscina mentre ci allenavamo per delle gare, insomma mia madre diceva di avere l’abbonamento, quindi credo di avere una discreta esperienza in materia.

Appena entrati ci rivolgemmo all’accettazione descrivendo il disturbo di Ale, così si fa in un pronto soccorso: entri e descrivi il tuo malanno all’accettazione… no no baby, benvenuto nel fantastico mondo della sanità privata.
Prima di tutto dammi un documento e te lo chiedo senza togliere gli occhi dal mio schermo Sir, la prima persona con la quale parlerai al pronto soccorso non è un medico, ne un infermiere e neppure un pranoterapista, ma un tizio in giacca e cravatta strappato da un ufficio che manco vuole sapere che cos’hai, ti interrompe, vuole prima la tua tessera dell’assicurazione poi, solo dopo aver inserito i tuoi dati, ti chiede cos’hai, ma solo per verificare che la tua assicurazione copra quel determinato disturbo.
Ok, noi non avevamo un’urgenza, e non so come funzioni se arrivi in ambulanza con un’urgenza vera, ma mentre ero seduta in attesa ho visto arrivare due uomini che ne reggevano un terzo ferito ad un piede, che sanguinava e che era stato fasciato di fretta con qualcosa di rimediato. Pure a lui è stata fatta tutta la manfrina alla non ci resta che piangere (alt, chi siete, dove andate, un fiorino), e qualcosa dev’essere andato storto perché, sebbene ben vestiti e in possesso di un qualche tesserino, i due uomini si sono dovuti ricaricare l’amico sulle spalle e andarsene, col piede insanguinato e la faccia sconsolata.
Io ho assistito alla scena inorridita dall’alto della mia esperienza con la martoriata, eroica, vessata, depredata ed amatissima sanità italiana. Sì, era solo un taglio al piede, non era in pericolo di vita, e mi hanno detto che a Dubai esiste un ospedale pubblico gratuito, non so come sia e di certo lì lo avranno ricucito, ma vedere la scena dal vivo, le espressioni sui volti essendo nella stessa situazione, ti fa accapponare la pelle, ti fa vergognare della fortuna che hai, ti fa sentire come in un episodio di Black Mirror.
La sanità privata è in contraddizione con concetti come civiltà, cultura o evoluzione, se non possiamo cucire il piede di un uomo il progresso che crediamo di aver conquistato è solo una chimera.

Nel frattempo l’assicurazione aveva riconosciuto Ale e d’incanto era apparsa un’infermiera con una sedia a rotelle, mentre un secondo prima poteva morire lì, adesso non poteva più neppure fare un passo con le proprie gambe. Il Castri era ancora vergine in fatto di ospedali, non era mai stato al pronto soccorso, aveva solo una febbre ballerina, anche se era arrivata a 39 e passa non se la sentiva di farsi portare in giro in carrozzina, quindi rifiutò sorridendo, così come quando si fanno i complimenti di fronte alla zia che ti offre il secondo piatto di lasagne.
L’infermiera gentile sorrise, quasi scusandosi, replicando che non era possibile, Alessandro DOVEVA sedersi. Il Castri allora le assicurò che poteva benissimo camminare, del resto non era lì in piedi di fronte a lei in quel momento? Ma no, per questioni legate alla sua sicurezza doveva sedersi, non poteva deambulare da solo, di fronte alla risolutezza dell’infermiera Alessandro si sedette, ma più per evitare discussioni, per farle un favore.
Ecco, da quel momento scattò qualcosa, fu come un passaggio di consegne: quel corpo non apparteneva più a me o al Castri, quel corpo ora era loro.
Dopo non più di 8 metri l’infermiera fermò la sedia a rotelle di fronte ad una stanza con un lettino sempre all’interno del pronto soccorso e fece accomodare Alessandro, tutta ‘sta sceneggiata sulla sicurezza, e siedi, e dai no, mi vergogno, siedi ti dico! Eenno dai! Va bene… per fare neppure 10 passi?!
Io ancora non avevo chiaro il quadro della situazione, mi stupivo solo del repentino cambio di atteggiamento da prima a dopo il controllo dell’assicurazione, dalla freddezza inumana alla solerzia esagerata.
Poco dopo portarono Ale a fare i raggi, in minuti arrivò il risultato: polmonite. (questa è la prova uomini: le vostre mogli sanno sempre tutto prima di tutti)
Voi direte: veloci capperi, però le cose funzionano con un’altra marcia nella sanità privata!
Signori, la marcia è davvero un’altra perché nonostante la diagnosi noi non avevamo ancora visto un medico, ma solo paramedici, e ora ricominciava la fase “si ma i soldi li hai?” perché si doveva capire se l’assicurazione avrebbe coperto la cura quindi, se per la diagnosi sono serviti massimo 20 minuti dalla sedia a rotelle al responso, per l’approvazione dell’assicurazione sono passate 2 ore vere, col povero Castri tremebondo di febbre sdraiato in un letto senza niente per coprirsi; ho dovuto chiedere io se potevano portargli una coperta e sono arrivati con un lenzuolo.

[Sebbene Ale mi abbia dato il permesso, il mio senso di protezione da mamma orsa mi ha impedito di mostrare il volto della sofferenza, ma in quella col lenzuolo aveva uno sguardo che non poteva rimanere nascosto, era lo sguardo de La Febbra.]

Quando finalmente ci comunicarono l’approvazione dell’assicurazione, spostarono il malato nella sua camera, una singola con frigorifero, divano, poltrone, wifi e bagno privato.



Questa stanza è senz’altro molto meglio di quelle della sanità pubblica, lo ammetto, come è bello il fatto che non esistano orari di visita, tu puoi passare col degente tutto il tempo che vuoi, in quanti volete, il divano è lì apposta.
Questo però mi è costato il fatto di essere ricoverata insieme al Castri, dopo una lunga contrattazione sono riuscita giusto a spuntare il fatto di andare a casa a dormire, deo gratias.
Quindi ho passato una settimana con Alessandro, per vederlo mangiare e fare flebo con antibiotico e paracetamolo, a litri, crepi l’avarizia! Tutto qui, qualcosa che poteva fare benissimo a casa nel suo letto, certo doveva prendere le medicina per bocca, ma così l'assicurazione non avrebbe pagato 400 euro al giorno.
Quelli però non sapevano con chi avevano a che fare, il Castri infatti prese il suo ruolo di malato molto seriamente, innanzi tutto decise di tenere con sé il termometro, per provarsi la febbre ogni mezz’ora e mandava me ogni volta che superava i 38 e mezzo ad avvisare, questo dopo che aveva notato un certo lassismo nel rispondere quando suonava il suo campanello; gli infermieri, più pazienti di Giobbe, avevano capito che Alessandro non conosceva la storia di Pierino che gridava “al lupo, al lupo”.
Inoltre chiese di parlare col nutrizionista, responsabile dei menù, perché in effetti portare piselli ad un fabico non è carino, anche se sei già in ospedale, inoltre sosteneva che un malato necessita di frutta e verdura cruda per agevolare la guarigione, non di carote e cavolfiori bolliti, così come di cibo più semplice e nutriente come del pesce grigliato, senza troppe spezie e condimenti difficili da digerire, come il shawarma di montone che gli avevano servito poco prima. La dottoressa prendeva i suoi appunti scusandosi, dal canto mio non confessai di aver scelto io il shawarma per Ale, pensando di fargli cosa gradita, visto che ne è ghiotto, ero troppo commossa e orgogliosa per la faccenda delle verdure e del pesce grigliato.
[ogni giorno un’inserviente ti porta un menù con diverse scelte da spuntare per colazione (uova, cereali, frutta, succo, pane tostate e marmellata, yogurt, ecc.), per pranzo (carne, riso, verdure, yogurt, frutta, ecc.) e cena (vedi pranzo), tu spunti ciò che vuoi e te lo portano il giorno dopo. Questo è un altro aspetto positivo della sanità privata, anche se poi hai detto a tutti che sei fabico e ti servono piselli come verdura]
Il giorno dopo Alessandro ebbe insalata fresca e un filetto di pesce grigliato immerso in una succulenta salsa all’aglio...

Quando, verso le 23, tornavo a casa e mentre cucinavo la mia cena, il Castri non resisteva e mi chiamava su skype e questa era la scena che avevo di fronte:



Un santo che faceva spugnature fresche per alleviare le sudate da competizione che gli sbalzi di febbre causavano ad Ale, erano i momenti in cui ringraziavo la sanità privata, altrimenti sarebbero toccate a me, il Castri non può sudare per conto suo come tutti gli altri, deve farti partecipare.
Insomma Alessandro s’era fatto conoscere anche lì, una cosa che mi fece impressione era  l’estrema gentilezza di tutto il personale, dal dottore alla signora delle pulizie il paziente è trattato come un cliente da soddisfare, per noi che siamo abituati a rincorrere i dottori nei corridoi e a farci trattare sempre un po’ male, un po’ di gentilezza e disponibilità furono una bella sorpresa.

Al secondo giorno quando arrivai trovai questo sulla porta della stanza:


Mi misi la mascherina un po’ preoccupata pensando che avessero trovato qualcosa nel ceppo del virus che aveva colpito Alessandro, ma il giorno dopo, quando vidi che i dottori in visita non l’indossavano per la seconda volta, la tolsi e iniziai a pensare che ci fosse una precisa volontà nel farlo sentire malato e bisognoso.
Al terzo giorno mi lamentai del fatto che non facessero niente oltre alle flebo di antibiotico, Ale fece sue queste parole coi dottori in visita, questi prescrissero un’altra radiografia al torace per accontentarlo, io mi morsi la lingua.
Al quarto giorno la febbre non passava, quindi cambiarono antibiotico e continuarono con le taniche di paracetamolo.
Al quinto giorno verso sera ci fu l’atteso miglioramento, la febbre rimase sotto ai 37 gradi, ridussero le dosi di paracetamolo sostituendolo con della fisiologica per idratarlo, quel poveretto doveva girare sempre col suo bastone da flebo e la camicia da notte, mi sembrava Gandalf il bianco.
Al sesto giorno era completamente sfebbrato, io fui contenta perché pensavo di poterlo portare a casa, del resto non rischiava certo di prendere freddo uscendo, visto che era un tipico giugno dubaiano coi suoi 40 gradi, e per idratarlo avevo un piano: farlo bere, ma i dottori dissero: domani, se anche domani non hai febbre vai a casa.
Al settimo giorno dissero: domani, oggi è venerdì ed è festa.

Ale sfebbrato, senza flebo, sequestrato in ospedale che lavora.

All’ottavo giorno andai all’ospedale agguerrita, avevo ormai capito che non lo avrebbero fatto uscire mai più, quello non era un ospedale, ma una qualche setta malefica che voleva tenersi il corpicione del Castri per chissà quali scopi. Avevo deciso che me lo sarei riportato a casa quel giorno, a costo di combattere. Feci colazione in silenzio, preparandomi allo scontro, entrai nella sua camera più risoluta che mai e dissi: “prendi le tue cose che oggi usciamo da qua, vivi o morti.”
Grazie al cielo Ale era lì seduto sul bordo del letto con affianco la sua valigina, pronto ad uscire, mi guardò con aria interrogativa, non dovetti combattere, ma tenni stretta la sua mano mentre camminavamo veloci verso l’uscita.

Promisi a me stessa che non ci avrebbero rivisti mai più, ma me ne scordai due anni dopo, quando eravamo al parco, Ale col suo skateboard e io col mio monopattino, correvamo felici come bambini fino a che il Castri non cadde con tutto il corpicione sul polso sinistro.
Quando si rialzò aveva il braccio un po’ a zig-zag, io gli dissi di tenere duro fino in ospedale mentre gli steccai il polso usando il mio cellulare (samsung galaxy MEGA, non a caso si chiama mega, è grande come una piastrella e in quest’occasione dimostrò una volta di più il suo valore) e la sua kefiah, lui non emise un fiato e guidò fino all’ospedale.
La mia steccatura improvvisata fu l’unico conforto che ebbe, per ore e ore, anche dopo raggi e risonanza magnetica, anche dopo che furono diagnosticate 5 fratture e ossa scomposte e la prospettiva di un intervento con viti e fascette in titanio, questo fino a quando finalmente non arrivò l’approvazione dell’assicurazione ovviamente.

Again
Alcuni appunti del chirurgo poco prima dell’operazione

[Per chi se lo domandasse lasciarono libero il Castri dopo solo 2 giorni dall'operazione, anche se da allora ci furono molte visite di controllo e radiografie con cadenza settimanale per un totale di 6, più una risonanza magnetica, tutto in un mese e mezzo, ma forse il loro numero aumenterà, ha da poco iniziato la fisioterapia.

E per chi pensa che io sia un’utopista e che la sanità pubblica sia da abolire perché non funziona sappia che per tutta la strada dal parco all’ospedale, eravamo preoccupati non tanto dal braccio, ma da cosa dire in accettazione quando ci avrebbero chiesto come era caduto… l’assicurazione avrebbe coperto lo skateboard? Nel caso, come potevamo altrimenti giustificare un danno del genere? Questi non sono proprio i primi pensieri che ci sarebbero venuti in mente in Italia.]



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