lunedì 22 ottobre 2012

Cronaca di una giornata tamarra a Dubai



Nella città dove lo stereo dei supersuv è più potente e fedele dell’impianto del locale dove di solito ascolto i concerti a Milano, andare ad un concerto con 50 Cent, Nelly, Craig David, LMFAO e altri tamarri come Dj Antoine o Ciara è un’esperienza da fare.
Ci prepariamo, prendiamo i nostri biglietti su cui c’è scritto STANDARD gigantesco e in piccolo alcune regole tra cui di portare i passaporti, andare ad un concerto a Dubai equivale ad espatriare.
Il posto è un ippodromo gigante il cui solo parcheggio, se visto dall’alto, ha la forma di un falco con tanto di occhi (da falco) e ali spiegate con piume, io e il Castri abbiamo parcheggiato sulla coda, giusto per dare fastidio.
Il tutto comincia alle 14 del pomeriggio, noi abbiamo fatto i fichi e siamo arrivati alle 17…eravamo tra i primi.
All’ingresso ci chiedono di consegnare i polsi, sul destro ci mettono un braccialetto rosso e sul sinistro uno bianco con su scritto +21, non faccio domande e neppure mi do risposte.
Scoprirò poi che questo è solo il primo di una serie di filtri che sezionano tutta l’area del pubblico in diverse caste di cui noi siamo il penultimo gradino: la sezione STANDARD, sotto di noi solo i ragazzini, gli standard più giovani di 21 anni, quelli senza il braccialetto bianco.
Sono stata a tanti concerti, so che ci sono diverse fasce di prezzo, platea e palchi o parterre e spalti, ma a Dubai esistono infinite sfumature nell’essere VIP, ci sono i VVIP (very very?) e sopra a loro livelli innominabili di persone che spendono tanti soldini per affittare la camera dell’albergo che si affaccia sull’area del concerto e godersi lo spettacolo dal balcone (il balcone ha delle poltroncine sistemate su 3 gradinate)
Il mio biglietto standard è costato 70 euro e mi dava l’accesso ad un’area distante 50 m dal palco, rigorosamente in piedi e a destra, perché a sinistra ci sono i ragazzini che hanno il loro bar dedicato con bibite gassate e succhi di frutta. (nel reparto anziani il bar serve alcolici, birra e long drinks alla modica cifra di 8 euro l’uno)
Davanti a noi c’è un’area divisa in 3, a sinistra gli under 21, a destra gli anziani in piedi (con bar nel quale spendere le consumazioni comprese nel biglietto il cui costo era di 140 euro) e al centro i ricchi anziani seduti, ma non immaginatevi le sedie in plastica impilabili, no amici… l’area era un salotto en plein air, con poltrone in pelle grigio antracite e tavoli in legno scuro e cristallo affumicato, loro avevano un bar pronto a distribuire bevande a volontà, costo 250 euri più il costo dei tavoli: da 5 persone 100 euro, da 10 200 euro e ogni aggiunta di persona costava 140 euro.
Il prezzo dell’albergo 5 stelle i cui balconi si affacciavano su noi miseri umani non saprei proprio dirvelo.
Io e il Castri passeggiamo nel nostro recinto, sul fondo ci sono stand gastronomici monomarca usciti da una puntata dei Simpson: il pollo fritto del Kentucky, pizza Hut (che se la mangi non vai più in bagno per 3 giorni) e la famosa marca di ciambelle adorate da Homer, io non mangio niente di tutto questo per la paura irrazionale di trasformarmi in un americano medio.
Ci guardiamo intorno commentando la variegata fauna umana e, dopo un’attenta analisi tecnica decidiamo di appostarci nel punto meglio servito acusticamente, appoggiati alla transenna.
Sono le 17e30, le casse pompano un dj che io non conosco, l’area teen è già piena e super carica, ballano senza sosta freschi e tutti agghindati con stile; l’area anziani è semi deserta… saggi, sanno che se iniziano ora non arriveranno vivi alle 3.
Sono indecisa se questa cosa della divisione per fasce di età sia geniale o meno, cioè io posso andare e venire in libertà nello spazio dei ggiovani, ma loro no… m’è venuto subito in mente quante sere io e l’Aribus ci siamo lamentate entrando in locali pieni di pivelli 20enni, quante volte ci siamo chieste dov’erano gli over 30 sentendoci delle sopravvissute, quindi la divisione in ghetti non mi è sembrata poi così sbagliata, sono sicura che tutti mischiati ci saremmo divertiti meno, noi e loro.
Loro che dopo 5 ore erano ancora pimpanti, femmine dondolavano sulle spalle di maschi (tra gli over 21 nessuno s’è caricato mai nessuna, non abbiamo più il fisico), urla a non finire, braccia alzate e occhiali da sole anche di notte.
Solo col favore delle tenebre i due gabbioni degli over si sono riempiti e ho notato che il Biancone ad un concerto hip hop ci va in borghese, peccato… secondo me tunica e turbante spaccano più delle catene d’oro di 50 Cent.
Mentre i dj si spellavano le mani sulle loro consolle ho visto questa cosa: ho visto la consegna a domicilio della cena arrivare fino al tavolo sotto al palco… è come se quando sei al forum d’Assago e c’hai fame… mica ti vorrai alzare e fare la fila per un panino schifoso! No chiami l’egiziano della pizzeria sotto casa e ordini, poi aspetti seduto al tuo posto l’omino con la borsa termica.
Qui i ricchi hanno qualcosa nel sangue che impedisce loro anche solo di farsi due passi o prendersi una roba dalla stanza accanto, io spero per loro che questo benessere non cali mai perché il giorno in cui dovranno ricominciare a farsi tutto da soli sarà il più amaro e difficile della loro vita e magari soccomberanno solo all’idea di un bucato o di cucinarsi qualcosa.
Comunque la musica continuava, i musicisti si alternavano a dj, si ballava e ballava e si ricevevano gadget disparati, io desideravo la borsa in yuta di un pub irlandese (con dentro chissà che cosa!), ma invece mi sono toccati 6 diversi pacchetti di sigarette, uno al fantastico gusto mela verde.
Verso le 23, dopo 6 ore, ho concesso alle mie gambe di piegarsi e mi sono seduta per terra, i dj nei cambio palco ormai raccoglievano solo sbuffi e persino i teen erano stanchi, e da dietro la grata della mia transenna antisfondamento ho osservato gli effetti dell’improvvisa disponibilità di alcool in un paese in cui non è cultura.
A parte gli immancabili inglesi, che ad una certa ora compaiono in condizioni pessime (per lui camicia asimmetrica macchiata, mutande in evidenza su pantalone calato tristemente, per lei scarpe col tacco rette in mano, piede nudo a calpestare la qualsiasi e per entrambi gravi difficoltà di reggersi in piedi con sbiascica molesta) ho visto scene che ho vissuto solo durante i capodanni dell’adolescenza. Questi ragazzi devono imparare a bere, e poi sono troppo magri, non reggono, però sono pacifici, nessuna rissa, nessuna donna importunata.
Comunque ho tenuto duro e sono tra i pochi che hanno resistito fino alla fine, i recinti erano quasi vuoti quando ha chiuso la serata Fifty, lui non se l’è presa a male, sorrideva e cantava, e quando alle prime file VIP gli hanno tirato (tra mille cose tipo: cappellini, foulard fendi e magliette) un bracciale rigido dorato, lui l’ha preso, perché se ti tirano un oggetto del genere a Dubai, nel dubbio anche Fifty se lo piglia.
Io e il Castri abbiamo dato gli ultimo colpi di coda e quando siamo usciti abbiamo constatato che se costruisci una struttura immensa nel deserto non hai problemi a organizzarne la viabilità in modo tale che si sia fuori in pochi secondi. Una volta a casa, dopo la doccia (qui durante il pomeriggio si raggiungono ancora i 37 gradi), ho avuto giusto le forze di rannicchiarmi in posizione fetale sul letto, mi faceva male ogni punto dal mio corpo dal mento in giù, ma non mi sono lamentata in modo tale che il Castri pensasse che quel +21 non significasse necessariamente 21+16, ma 21+chissenefrega.

Il teaser introduttivo che chiarisce alcuni punti fondamentali:
Dress Code: Fashionable
Entertainment: Choreographed Dance shows on Catwalk/Dance Cages
Age Limit: No Age Limit 
(che significa: vecchi ammessi)

le cubiste

gabbie separate non sono poi una così brutta idea



giovedì 4 ottobre 2012

Dell'omanità perduta


Siccome sono una mezza clandestina mi tocca rinnovare il mio visto turistico farlocco ogni mese.
Il confine più vicino è quello con l’Oman, quando arriviamo la polizia ci fa compilare il foglietto d’ingresso e tutte le volte esito un po’, non perché sia impostato per chi scrive da destra a sinistra, ma perché la casella Occupation mi mette sempre di fronte alla tentazione di sbrigliare la creatività, alla fine scrivo student che mi pare un giusto compromesso tra fantasia e realtà. L’ultima volta però il gorilla-Castri mi ha tolto dall’imbarazzo scrivendo per me social assistant, devo ammettere di aver gradito la sua iniziativa.
L’incombenza di dover andare in Oman è piacevole perché, come già scrissi, è un posto meraviglioso. Non è farcito di monumenti come l’Italia, se non quelli ad opera di Madre Natura come certe montagne colossali e geometriche o il suo mare miracoloso che ospita ogni tipo di pesce sfuggito agli acquari di dentisti occidentali, ma anche balene e serpenti di mare (velenosi).
A parte il mare, non si può neppure affermare che sia una terra rigogliosa di vita, mi pare più adatto come set per un ennesimo capitolo di Star Wars, anche se so di molte zone montane fertilissime e coltivate.
Eppure l’Oman ha un qualcosa che mi fa sospirare di sollievo ogni volta che son lì e ora so che certezza che è la stupefacente ospitalità dei suoi abitanti a renderlo così speciale.
Devo dire che ho pensato molto alle parole da usare e “ospitalità” ha un significato limitato per quel che dovrebbe raccontare. Meglio se vi scrivo episodi vissuti nello scorso week end.

In entrata.
Appena varcato la frontiera, con ancora i passaporti nelle mani dei poliziotti, l’omanità ci ha abbracciati con indulgenza e affetto, avevamo chiesto un’informazione sulla regolamentazione dei visti in una zona di confine in cui la cosa era poco chiara, ma che volevamo visitare. Il poliziotto ha risposto che la strada era pericolosa, poi ci ha fatto cenno di non parlare che c’era il suo capo, un biancone sui 60 che scherzava con degli irlandesi leopardati da milioni di lentiggini, noi abbiamo abbozzato decidendo di non insistere, dopotutto sapevamo che quella zona era accessibili sono ai residenti per chissà quale motivo.
Con nostra sorpresa il poliziotto è uscito dalla guardiola pronto ad offrirci (l’illegale) escamotage che ci consentisse di visitare quell'area senza problemi, l’italiano che è in voi ha già pensato a quanto ci possa essere costata un’operazione del genere, confessate!
Niente!
Anzi ci ha sorriso e ringraziato lui, salutandoci con una pacca sull’erculea spalla del Castri che qui raccoglie più simpatie di un cucciolo di gatto su youtube.
(ah, non abbiamo accettato la sua offerta, non per virtù, ma per evitare problemi con l’altro confine moooooolto meno indulgente)

All’albergo.
Ci siamo fermati in un albergo per domandare se c’era posto, pareva di vivere in un film western all’ora di fuoco: il sole a picco, un caldo infernale, silenzio, poche case all’apparenza disabitate, all’improvviso un rumore dalla strada, ci giriamo e vediamo 3 capre che zampettano padrone del mondo. L’albergo è aperto, dopo aver superato la barriera anti-dromedario (noi abbiamo la tenda anti-mosche, loro una sorta di grata che dovrebbe scongiurare l’ingresso di cammelli vari) gironzoliamo tra la reception arredata da una wanna marchi in depressione, il gorgogliare della piscina in giardino e i piccoli appartamenti destinai agli ospiti (dominante su tutto una nuance di marrone da brivido), tutto aperto e accessibile, ma nessuno che lo abitasse.
Mentre il Castri proponeva di mandare una mail dal loro stesso computer, noi siamo tornati in strada dove abbiamo scoperto con sollievo di non essere rimasti i soli abitanti del pianeta, dal nulla è comparso un uomo che si è subito impegnato nella nostra causa. 
L’uomo, che indossava una maglietta col ritratto del suo sultano, ha chiamato qualcuno che poi è sbucato da una casa poco distante correndo nella nostra direzione: stanza presa.
[Qualcuno dirà, ma che razza di ospitalità è questa? Non c’era proprio nessuno! A parte che la domanda mi fa pensare alla faccenda del dito e della luna, ma comunque rispondo: quando mai avete trovato un posto del genere aperto e abbandonato tutto intriso di fiducia e di ingenuo (nel senso buono) ottimismo? Dalle nostre parti devono inchiodare i cestini della spazzatura e piazzare telecamere in ogni dove…]

Alla spiaggia.
La spiaggia in realtà è la soglia dell’ingresso ad un altro mondo: il mare. L’aneddoto inizia con noi che spiamo i fondali muniti di maschere e d’improvviso incappiamo in una nassa dove c’è un grande pesce pipistrello (a dispetto del nome è molto bello ed elegante, guarda) intrappolato al suo interno, subito fuori un pesce uguale, solo un po’ più piccolo, che sembra aspettarlo, i due pesci nuotano insieme divisi solo dalla rete rigida della trappola.
Il mio cuore romantico e animalista esplode di commozione e dolore, mi rivedo nel pesce più piccolo che cerca di rincuorare il suo amato pesce-Castri: “vedrai non succederà nulla e comunque io resterò qui con te, risolveremo questa cosa!”, rivedo anche Nemo e i suoi amici, ma non so bene quali quindi ritorno all’immedesimazione di prima.
Subito chiamo i miei compagni di viaggio: allaaaaarme, c’è una missione da compiere!
Ognuno abbandona i propri pensieri e si dirige verso di me, si studia brevemente la cosa e, senza un piano, i maschi si tuffano tentando di prendere la nassa. Ahimé, questa è troppo pensate (e chi l’avrebbe detto) non riescono a farla riaffiorare in modo che si cerchi di far uscire il prigioniero, in varie immersioni la nassa non si stacca più di un metro dal fondo.
Ora, devo specificare che in quel punto la corrente era abbastanza forte e che ad ogni tentativo, nel tornare placida e strafottente sul fondo, la trappola infernale si allontanava sempre di più.
Ormai stremati i maschi si arrendono, guardo un’ultima volta il pesce imprigionato, la sua compagna si è allontanata prudentemente per lasciarci lavorare, chissà cosa penserà… sono triste, siamo tutti tristi.
Torniamo a riva senza parlare, togliendoci la maschera notiamo una barchetta bianca attraccata, il suo capitano è poco lontano impegnato nella preghiera pomeridiana, quando torna sprizza omanità da tutti i pori e subito si mette a chiacchierare con noi… 3, 2, 1 “ci porti con la barca lì, che sotto c’è un pesce bello, non di quelli che si mangiano, bello a forma di luna, intrappolato in una nassa e sua moglie è fuori che lo aspetta, abbiamo provato, ma non ci riusciamo da soli, se ci dai anche una corda…” Poverino non aveva capito una cippa di quel che gli avevamo detto in coro (considerate poi il mio inglese tipo Salvatore de Il nome della Rosa), ci sorride e ci chiede se vogliamo fare un giro in barca, ci indica una spiaggia dietro le montagne a destra, molto bella, ci si arriva solo via mare.
Riparte il coro: “no, no, grazie per l’invito, noi vogliamo solo arrivare lì, c’è questa trappola, pesce dentro, no buono da mangiare, pesce bello, noi vogliamo liberarlo”
Lui forse capisce e sorride imbarazzato spiegando che le nasse sono di suoi amici pescatori, che non sa se è il caso perché quando prendono pesci che non si mangiano li liberano loro, però c’è sempre quella spiaggia se vogliamo!
Noi non cediamo: “non si mangia quel pesce, rimettiamo la nassa al suo posto”
La sua omanità ha resistito anche troppo, cede e dice di montare tutti in barca sorridendoci felice, si parte.
Ebbene, arriviamo al punto X, caliamo i maschi mascherati armati di una corda, la nassa è davvero profonda ora, Guido l’aggancia e risalendo pagherà il tributo più caro: qualche goccia di sangue dal naso, sembra poca roba, ma ditemi voi chi ha mai versato sangue per salvare un pesce? Guido!
Massimo rispetto.
Comunque, ho in mano la corda e tiro issando questa semisfera di rete, era talmente vecchia che si rompe nell’ascesa, quello squarcio benedetto permette al pesce pipistrello di uscire e, soprattutto garantirà una scappatoia ad altri che ne rimarranno intrappolati.
Libertè!
Si festeggia e Mohammed ci porta a quella spiaggia, ci si tuffa, si nuota, lui ci aspetta paziente, io mi sento un po’ in colpa e lascio maschera e boccaglio per fargli compagnia, così mi porta in cima ad una duna altissima di sabbia fresca e morbida, mi dice che ci porta i suoi figli lì, mi racconta che in questo periodo arrivano le volpi, mi chiede se a Milano c’è il mare e poi mi dice che capisce meglio il mio italiano del mio inglese e ride di gusto.
Quest’uomo che abbiamo travolto ci porta in altre spiagge, lascia che il Castri guidi la sua barca e alla fine ci riporta indietro.
Ci godiamo il tramonto insieme, timidamente il Castri prova ad offrirsi di pagargli la benzina, Mohammed diventa serissimo, ASSOLUTAMENTE NO, guarda anche da un’altra parte, discorso chiuso.
Lui lavora al ministero degli interni, controlla i passaporti, era uscito per farsi un giretto con la sua barca, un piccolo piacere che si concede, mi sento una caccola e penso che gli voglio bene a Mohammed e che la prossima volta la barca la voglio guidare io!



Ah, nell’andarcene veniamo avvicinati da Alì e da Ibrahim, li avevamo visti anche l’altra volta, sono pescatori e non parlano inglese, quindi non sappiamo cosa pescano, non hanno reti ne fiocine, ma solo un piccolo tridente... boh!
Ci fanno cenno di fermarci, corrono verso di noi con un cartoccio di carta stagnola in mano, è pieno del pesce appena pescato, pulito e cucinato, tutto per noi.
In Oman fare i complimenti è insensato e incomprensibile, accettiamo il pesce e ce lo mangiamo di gusto (ok era piccantissimo), ma penso di non aver mai mangiato pesce più fresco.

Potrei andare avanti ancora molto con storie simili, ma è già venuto troppo lungo questo post, e poi voi non leggete perché c’avete fretta e la vita è breve, quindi basta aneddoti.

Tornata a Dubai ho letto questo:

(mamma clicca per ingrandire, così riesci a leggere)

e mi ha rattristato…
Quand’è che siamo diventati così?
Quand’è che abbiamo perso la nostra ospitalità?
Lo so che eravamo accoglienti e generosi, lo so dai racconti dei nonni e dei miei genitori, lo so da come sono stata educata, cos’è successo dopo?

Nessuno venga a farmi discorsi sui soldi e simili, non si sta parlando di questo, nel dopoguerra eravamo davvero poveri, eppure avevamo tanta generosità da distribuirla a tutti!
Io sto parlando di sorrisi, curiosità e confronto, di condivisione e basta, capite da soli che non ho voglia di fare omelie.

Vi prego ritroviamoci, ritroviamo noi stessi, dobbiamo ricordare chi siamo, la nostra ospitalità è talmente radicata, antica e sacra che Dante mise i traditori degli ospiti all’inferno, nel 9° cerchio, più vicino a Lucifero di ladri e assassini.
Li ha descritti riversati e imprigionati dalle loro lacrime cristallizzate in una lastra di vetro trasparente che li separava dal resto del mondo.