mercoledì 18 aprile 2012

Andare al pronto soccorso (No mamma, non sono io che ne ho avuto bisogno)


A Dubai non esiste il lavoro in nero e chiunque abbia un contratto ha anche un’assicurazione medica. Ci sono diversi ospedali nella città, è in uno di questi che abbiamo accompagnato X che però, come me, non ha un’assicurazione medica.
X è un uomo del modello testardo, che finge di non stare male nella speranza che, ignorando la cosa, questa si stufi e passi da sola. Il modello testardo quando il male non guarisce sa esattamente cosa fare: passare al piano B.
Il piano B prevede una telefonata seria, calma e grave ad un amico (in questo caso Alessandro), durante la quale non utilizzerà molte parole, perché teme che una descrizione accurata possa agitare le acque e questo peggiorerà la situazione, tentativo inutile perchè noi italiani abbiamo l’indole drammatica e adoriamo appassionarci con tutta la nostra emotività a qualche dramma, seppur modesto.

“Ale?”
“Uè ciao! Come va?”
“Eh… male, sono 3 giorni che ho dei giramenti di testa fortissimi tipo quando sei ubriaco marcio… non passa, non è la pressione, mi accompagni al Pronto Soccorso?”
“Ok arrivo” e chiude il telefono con la stessa espressione di Bruce Willis in Die Hard.

Io e Alessandro eravamo a fare la spesa, abbiamo caricato i sacchetti in macchina sereni: qualsiasi cosa fosse successa,  nessuno sarebbe morto di fame.
Abbiamo varcato la soglia dell'ospedale in silenzio, senza sapere bene cosa aspettarci, ma già sentendo un certo bruciore pervenire dal fondoschiena, un po’ per pessimismo e un po’ per prepararsi alla cosa, abituati come siamo ad un’assistenza sanitaria pubblica.
Ed è così che si apre davanti ai nostri occhi l’atrio di un ospedale di periferia: una stanza circolare, luminosa come in un sogno, lastricata di raffinato marmo nero e bianco latte, con comode poltrone in pelle; qua e là tavolini di vetro offrono soffici fazzoletti che sbuffano fuori da scatoline bianche, al centro un lampadario di elegantissimo design, così come l’orologio che svetta su una parete segnando le 20e30.
Non c’è molta gente, ma quella che c’è non può non notare il nostro ingresso all’italiana: un cristiano bisognoso che cammina perfettamente sulle sue gambe e 3 persone di accompagno (durante il tragitto siamo stati raggiunti da TTS, Tutta Testa Stefano) che cercano con ogni mezzo di rendersi utili creando una confusione molto simile ad una commedia di Edoardo De Filippo.
“Siediti”, “faccio io”, “quand’è che sei nato?”, “sei comodo qui?”, “aspetta vado a chiedere”, “hai una penna? Aspetta è qui”, DRIIIIIIN “si siamo qui, eh sta sempre male”, DRIIIN “si si, siamo arrivati, ancora non l’hanno visitato, aspetta che chiedo”, DRIIIN “ si è occupato perché ora è al telefono con Sara, torna a casa dopo che hanno visitato X”, “no no, ancora non sappiamo niente, poi ti richiamo” (l’italiano vuole partecipare anche a distanza).
Dietro ad un bancone in legno nero e cristallo satinato siedono tre persone che ti chiedono immediatamente il motivo della visita e altri dati personali, tutte risposte sulle quali il povero X non avrà il minimo controllo, Ale e TTS conducono il gioco (si scoprirà più avanti che Alessandro ha anche tentato di organizzare un’uscita tra X e un’infermiera… o un dottore, non ho ben capito).

La visita è breve, il dottore sudanese fa due domande, lo misura in vari modi e capisce al volo, fa sdraiare X e subito dopo dichiara: è  vertigine posizionale parossistica benigna (che quel benigna lì in fondo credo l’abbiano aggiunta per farti riassumere la tua espressione abituale dopo che hai strabuzzato gli occhi e spalancato la bocca), poi conclude con “vai a casa e guarda su Youtube l’esercizio che devi fare per tornare come nuovo”.
Andiamo a ritirare le medicine e poi in cassa: tempo impiegato 50 minuti, costo totale dell’operazione 55 euro… e subito pensi “ma in Italia i ticket a cosa servono, visto che abbiamo una sanità pubblica?”

Ah, Dott. Sudan aveva ragione, abbiamo consultato internet e rifatto l’esercizio, in 5 minuti netti a X è passata la sbornia benigna, certo rimane il mistero sul perché non l’abbia fatta lui lì in ambulatorio, ma si vede che qui ti vogliono rendere partecipe, vogliono che tu stesso sia il protagonista della tua guarigione, vogliono che ti informi! In Italia se dici al tuo dottore che hai fatto una ricerca su internet ti guarda come si guardano i cuccioli di cane che inciampano sulle proprie zampe, commiserando la tua ingenuità e subito dopo ammonendoti sulla dannosità della cosa, certo… la conoscenza è pericolosa.

Qui potete vedere la manovra salvavita detta anche Manovra di Epley


2 commenti:

  1. ora che so che esiste la Monovra di Epley mi sento molto più tranquilla. vorrei anche sapere se su You Tube ci sono manovre di emergenza anche per la sfiga, il malumore, e la cattiva educazione :-)

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  2. forse potremmo farlo noi Lisa!
    una mossa sola contro quei 3 mostri non so se basta, ma se facciamo dell'hard stretching forse sì!
    del resto... chi c'ammazza a noi? (io con la faccia di una che la sa lunga)
    ;)

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