Cosmopolitismo è un termine che deriva dal greco
κόσμος (kósmos), cosmo, universo ordinato, mondo e πολίτης (polìtes),
cittadino. Chi sostiene il cosmopolitismo, cioè il cosmopolita, considera se
stesso "cittadino del mondo". [Wiki docet]
Essere cosmopolita fa fico, perché giri il mondo e parli
altre lingue, anche se poi quando devi esprimere qualcosa di più complesso,
come una sensazione o uno stato d’animo, non riuscirai mai a farlo bene come
nella tua lingua.
Essere cosmopolita fa fico perché apri la tua mente a
situazioni e abitudini che non avevi immaginato comprendendo che ci sono moltissimi
modi per condurre una vita, e all’improvviso percepisci i tuoi antenati come
fossili.
Il cosmopolita si immerge talmente “nel mondo” che abbandona
il suo status originario per
abbracciarne decine diversi, spesso tanto mischiati da perderne i contorni.
Dicono che New York sia una città cosmopolita, forse tutti
gli Stati Uniti sono il prodotto più autenticamente cosmopolita a dire il vero,
un popolo formatosi da gente con origini diverse che s’è ritrovato a inventarsi
una cultura nuova, anche se il risultato assomiglia più ad un collage o ad una
coperta patchwork. Fossi stata in loro avrei sfogato maggiormente la fantasia,
inventandomi delle regole sociali molto più creative… non so avrei istituito il
“Giorno dello scambio della prole”: una giornata in cui le famiglie si
confondono e mischiano, dando modo ai bambini di ricevere stimoli
irraggiungibili dalla crescita in un unico nucleo familiare; oppure avrei
inventato la religione definitiva pescando il meglio da tutte e definendo una
dottrina spirituale perfetta (tanto ormai le vecchie religioni erano già
ampiamente collaudate, evidenziando chiaramente ognuna le sue lacune e, al
contrario, ognuna le sue soluzioni più brillanti), ma antropologicamente credo
che ormai si sia cristallizzata in una creatura ibrida che incomincia a
pietrificarsi tanto quanto le culture più antiche.
Dubai invece è un ottimo spunto di riflessione, perché è una
città che è nata all’improvviso tramite persone derivanti da paesi diversissimi
con un background talmente difforme da renderne quasi impossibile la fusione.
In soli 40 anni la città è passata da 58mila abitanti a più
di 2milioni! È come se Faenza diventasse Roma nel tempo di una generazione!
Capite che non c’è tempo per meticciaggi
culturali e il prodotto che ne deriva è molto curioso ai miei occhi.
A New York arriveranno anche persone da tutto il mondo, ma la
maggior parte sarà sempre autoctona e quindi gli immigrati dovranno comunque
adattarsi; invece qui gli indigeni sono ancora meno di quelli che trovarono i
primi coloni che invasero l’America (il rapporto è di 2 nativi ogni 10 persone),
davvero una minoranza può imporre usi e costumi oltre alle leggi?
Le effusioni sono vietate, ma i pakistani non possono
rinunciare alla loro abitudine di camminare tenendosi per mano, quindi ora
tenersi per mano è lecito, chi si adatta a chi?
[è come la storia del cartello “vietato fumare”, se fuma uno
lo si multa, se fumano in 40 si toglie il cartello]
Quando prendo la metropolitana, quando vado in spiaggia o in
un locale, mi rendo conto che una città cosmopolita in realtà è come un mondo
in miniatura, i cui confini geografici e culturali rimangono fissi e
definiscono le differenze in modo evidente, la tendenza ad auto-ghettizzarsi è
imperante e alla fine, anche a 5000 Km di distanza è più facile che un italiano
sposi un’italiana, piuttosto che un’araba o una gallese.
(l’attività sessuale è molto più cosmopolita però, và detto)
In un paese dove l’alcool dovrebbe essere bandito si
festeggia l’Oktober fest o il giorno di San Patrizio con fiumi di birra, e la
carne di maiale impera in supermercati e ristoranti.
Tranne rare eccezioni, alla fine i filippini stanno coi
filippini e gli inglesi con altri inglesi, che sia per vedere una partita di
calcio o per la grigliata del 4 luglio, anche quando un giamaicano, un omanita
e un irlandese si riuniscono (e non è per dare vita ad una barzelletta) lo
fanno in virtù di un non-luogo, come ad esempio la musica, in quel caso è il blues il loro “confine geografico”, ma qui
si apre una discussione filosofica su quali siano davvero le demarcazioni
culturali mondiali al giorno d’oggi e non basterebbe questo blog.
In ogni caso, passeggiando in una città cosmopolita puoi
riconoscere immediatamente tutti questi cittadini del mondo: se è scalza è
inglese, se è cotonata come Amy Winehouse è libanese, se ha le sopracciglia
curate è italiano, se indossa calze e infradito è giapponese, se è abbigliata
con un completo di vestito e pantaloni verde pistacchio e fuxia è pakistana, se
ha labbra e tette di gomma e sopracciglia tatuate è russa… perdonate questa
lista un po’ antipatica, ma è solo quello che vedo. È come se fossimo tutti
usciti dai nostri paesi senza essercene accorti.
Forse alla fine il cosmopolitismo non esiste e quando ne incontro
uno che si definisce così lo guardo bene e vedo solo qualcuno che ha viaggiato
assorbendo superficialmente qualche abitudine diversa (che poi quello lo puoi
fare anche ritornando ogni volta a casa), ma che non riesce a liberarsi davvero
dalle imposizioni dettate dalla sua tribù.
Forse il vero cosmopolita è Terzani, che se lo leggi allora
sì che puoi goderti un vero innesto tra l’italianità e il mondo.
Probabilmente essere cosmopolita è più una condizione da
Ricercatore, da studioso, che si accinge ad evolvere la propria cultura, più
che abbandonarla.
Essere cittadini del mondo è come essere pittori cubisti:
guardare le cose non da un solo punto di vista, ma da tutti quelli possibili,
ti rende un uomo saggio, quindi il cosmopolitismo è un’illuminazione concessa a
pochi, più che la possibilità di girare per le strade e incontrare un cinese,
un kazako e un peruviano.
Il cosmopolitismo non ha alcun senso se non hai un origine
netta e definita, nessuno confronto può esserci se prima non sai chi sei, per me
il cosmopolitismo nasce dalla cucina di casa tua.
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